It’s the (global) economy, stupid!

di Marco Saltalamacchia

Pubblicato il 2018-11-27

GM licenzia 15.000 dipendenti ed il solito Trump li invita perentoriamente a chiudere in Cina piuttosto che in Ohio. Che Trump (assieme agli altri sovranisti) non ne capisca di economia una beneamata “ceppa” (visto che il termine è stato recentemente brillantemente sdoganato dalla nostra leadership, lo usiamo e con piacere) lo si sapeva di già, …

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GM licenzia 15.000 dipendenti ed il solito Trump li invita perentoriamente a chiudere in Cina piuttosto che in Ohio. Che Trump (assieme agli altri sovranisti) non ne capisca di economia una beneamata “ceppa” (visto che il termine è stato recentemente brillantemente sdoganato dalla nostra leadership, lo usiamo e con piacere) lo si sapeva di già, e questa ne è solo un’ulteriore conferma. Per quanto possa rappresentare uno di quei dati di fatto incontrovertibili, e quindi per questo fra i più odiati dai sovranisti/protezionisti, l’economia odierna è globale e quella dell’automotive è fra le più globali di tutte. Ma c’è di più, l’automotive deve essere globale, a rischio della sua stessa sopravvivenza.

Perché? Cercherò di farla semplice. L’industria automobilistica è caratterizzata da elevatissimi costi fissi (diciamo che stiamo nell’ordine delle decine di miliardi di euro) e da periodi di ritorno dell’investimento lunghissimo (10-15 anni) con rendimenti del capitale estremamente contenuti. L’importanza delle economie di scala è quindi fondamentale. Un’altra equazione non è possibile, a meno che non vogliate che ogni auto vi costi quanto una Ferrari o una Lamborghini. Se non ci credete, fate un test da soli e provate a mettervi quindici anni indietro nel tempo e provate a pensare se tutto quello che è accaduto da allora ad oggi (inclusa la “Big Recession”) sareste stati in grado semplicemente di immaginarlo.

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Su orizzonti così lunghi il solo modo di proteggersi “naturalmente” dalle inevitabili fluttuazioni che possono investire la produzione o la distribuzione è quella di “distribuire il rischio”. Il modo migliore quindi di creare un “hedging” naturale, una copertura del rischio, è di assicurarsi che l’azienda poggi solidamente non su un solo pilastro (industriale e commerciale) ma su tre. I tre pilastri si chiamano Nord America, Europa ed Asia.

In questo modo, le possibili oscillazioni sulla supply chain, sulle valute ed anche sulla domanda andranno, possibilmente, a compensarsi ed idealmente a neutralizzarsi, lasciando l’eventuale rischio residuale a coperture finanziarie. Guardate per esempio Toyota, oppure i Tedeschi, e scoprirete che la lezione l’hanno capita benissimo da tempo. Il loro assetto industriale e commerciale è globale, con fabbriche e filiali commerciali, solidamente piantate nei tre angoli del globo.

Al contrario, guardate invece chi ha sempre dovuto lottare per la sopravvivenza (uno fra tutti: FIAT) e scoprirete dei produttori “regionali” legati a doppio filo alle sorti, economiche e politiche dell’area di mercato in cui sono concentrati. Anche gli americani, nonostante la grandezza del loro mercato, hanno lungamente peccato di “nazionalismo” concentrandosi solo nel mercato domestico e quindi subendone le crisi periodiche che, nel tempo, hanno portato vicino alla bancarotta Chrysler e, appunto GM. Però poi la lezione l’hanno capita ed hanno cominciato ad applicarla, in Cina, ad esempio.

Le fabbriche cinesi di GM servono il mercato cinese, che si appresta a diventare il primo del mercato del mondo e solo pensare di servirlo dagli U.S.A. è una stupidaggine sesquipedale (immaginate i costi logistici solo per citarne uno, ma anche il maggior costo del “blue collar” americano rispetto al suo collega di Guangzhou).

Infine, imporre dazi sull’import, potrà proteggere per un po’ la produzione nazionale, ma a discapito del potere di acquisto dei consumatori, che si vedranno obbligati a pagare di più per il prodotto, e della progressiva perdita di competitività dell’azienda sui mercati globali, che, chiaramente, risponderanno con dazi equivalenti, neutralizzando le decisioni ed impoverendo di più tutti quanti, lavoratori, consumatori, ed imprese.

Caro Donald, fidati di noi italiani, che un’industria l’abbiamo protetta fino a quasi farla fallire…

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