Opinioni
Liberateci dalle panzane di Di Maio e Castelli sullo spread
di Costantino de Blasi
Pubblicato il 2018-11-21
Con ogni probabilità oggi arriverà dall’Europa la bocciatura ufficiale della manovra di bilancio. Gli scenari che si aprono ora magari li descriveremo in altro post; quello che vogliamo invece commentare è la terrorizzata difesa delle misure adottate espressa dal bisministro Di Maio e dalla viceministra all’economia Castelli. Dal M5S sappiamo che la legge di Bilancio […]
Con ogni probabilità oggi arriverà dall’Europa la bocciatura ufficiale della manovra di bilancio. Gli scenari che si aprono ora magari li descriveremo in altro post; quello che vogliamo invece commentare è la terrorizzata difesa delle misure adottate espressa dal bisministro Di Maio e dalla viceministra all’economia Castelli.
Dal M5S sappiamo che la legge di Bilancio quella è e quella rimane; sappiamo inoltre che gli Euroburocrati non l’hanno capita (ma la capiranno certamente non appena ne ascolteranno la descrizione dalla viva voce dei protagonisti, magari con accento napoletano) e l’aumento dello spread e la fuga dai nostri titoli di debito è determinata dalla convinzione che dietro il reddito di cittadinanza e dietro quota 100 ci sia la voglia, recondita, di uscire dall’euro. Prima che Giggino metta in atto la promessa di tatuarsi una banconota firmata da Draghi sul braccio, e prima che Laura Castelli ribadisca che con lo spread c’entra anche la Germania (sigh) vogliamo loro spiegare un paio di cose.
1. Apprezziamo il fatto che il piano B era una fantasia appartenente alla sfera dell’ipotetico di Scenari Economici e del prof. Savona, ma se tutti gli indicatori italiani si deteriorano, se il debito invece di diminuire resta costante o cresce, se gli impegni ad una riduzione del deficit strutturale (parola oscura ai due eroi) vengono disattesi, se i moltiplicatori indicati dal governo e da illustri esponenti della maggioranza non si sono mai visti in decenni di osservazione empirica, se i tassi all’emissione aumentano e lo spread veleggia allegramente verso i 400 basis points -avvicinandosi a quello delle Grecia- mentre prima dell’insediamento del governo valeva la metà, se tutti gli istituti sostengono che il quadro programmatico di bilancio è pura fantasia degna dei maghetti di Hogwarts, attribuire la colpa della evoluzione delle finanze pubbliche alla possibilità di Italexit ha il solo effetto di annichilire quel poco di credibilità che era rimasta. Gli operatori di mercato, e la Commissione, ritengono che le stime fatte dal governo siano sbagliate. L’uscita dall’euro c’entra una mazza. L’hanno detto e scritto in tutti i modi. I magici moltiplicatori della spesa arriveranno al massimo ad uno 0,5% e lo stato dell’economia, soprattutto in presenza di un rallentamento oramai conclamato del ciclo economico, può solo peggiorare. Solo chi non vuol capire non capisce.
2. L’andamento dello spread (“indeciso” secondo la Castelli) è chiarissimo. Ancor di più lo è la curva dei rendimenti che sta penalizzando i titoli a breve e medio termine. Significa che il mercato non si fida dell’andamento dell’economia legato alle azioni di questo governo; non di quelli futuri.
3. Dire che con lo spread c’entra anche la Germania è come dire che nella misura del peso di un sacchetto di frutta c’entra anche il peso del sacchetto. E’ difficile comprendere cosa volesse intendere la povera Castelli; vien da pensare che non sapesse cosa dire. Il bravo Giannini, che l’ha intervistata e giustamente ha chiesto conto delle affermazioni balbettanti, sembrava quasi un crudele inquisitore. Roba da chiamata al telefono azzurro.
4. L’apertura di una procedura d’infrazione dipende da 2 punti:
i) l’Italia è in una situazione di debito eccessivo dovuta (anche) ai margini di flessibilità concessi nel recente passato. Rispetto al percorso di rientro tracciato nella precedente legislatura, il rapporto debito Pil devia di 4 punti secondo le stime del governo; ben di 9,8 secondo le stime della commissione. Ce n’è abbastanza per un’azione di forza che non si limiti a raccomandazioni che, evidentemente quando si ha a che fare con le nostre promesse, non servono.
ii) Quello che si chiedeva a questo governo era di rispettare gli impegni presi sul fronte dell’indebitamento strutturale (quindi al netto del ciclo economico e delle misure una tantum). Un governo con una visione un po’ più lunga dell’orizzonte delle elezioni europee e capace di far due conti avrebbe potuto abbastanza facilmente ridurre l’indebitamento strutturale e giustificare un po’ più di spesa pubblica (magari di buona qualità e non corrente e assistenziale) quando gli effetti della congiuntura sarebbero arrivati. In quel caso, e solo in quel caso, avrebbe avuto la possibilità di chiedere flessibilità in deficit.
Ma questi concetti forse sono troppo difficili da comprendere per due scappati di casa che si trovano nella posizione in cui sono per misteriose combinazioni astrali.