Da domani si capirà qualcosa in più sulla Brexit?

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-09-03

Tra oggi e domani la Gran Bretagna saprà se ci sarà o meno un accordo per la Brexit, l’uscita del Paese dall’Unione Europea. E’ infatti previsto per oggi, ma con ogni probabilità sarà votato domani la presentazione dell’emendamento presentato da un gruppo di oppositori di Boris Johnson

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Tra oggi e domani la Gran Bretagna saprà se ci sarà o meno un accordo per la Brexit, l’uscita del Paese dall’Unione Europea. E’ infatti previsto per oggi, ma con ogni probabilità sarà votato domani la presentazione dell’emendamento presentato da un gruppo di oppositori di Boris Johnson, il nuovo premier del Regno Unito, sulla richiesta di una proroga della deadline per l’hard Brexit, l’uscita disordinata e senza accordo dall’Ue che tanto intimorisce gli imprenditori britannici e che è da sempre osteggiata dal partito laburista, dal partito liberaldemocratici, dagli indipendentisti scozzesi e gallesi, dai verdi e dai centristi. A questo gruppo, sulla carta compatto nonostante in passato si siano registrate alcune voci contrarie, si potrebbero aggiungere una ventina di parlamentari contrari ad un uscita senza accordo eletti tra i Tories, come vengono chiamati in Gran Bretagna gli esponenti del Partito Conservatore. Un’ipotesi, l’hard Brexit, che potrebbe costare alle casse pubbliche oltre 80 miliardi di sterline (quasi 90 miliardi di euro) in termini di danni alle casse pubbliche. La situazione è paradossale perché basterebbe l’opposizione di pochi parlamentari conservatori per far andare sotto il Governo e far precipitare Johnson tra le braccia di Philip Hammond, Theresa May e dei suoi (pochi) sostenitori.

Governo Johnson: c’è il rischio che manchino i numeri

Nei giorni scorsi Boris Johnson ha ammonito le “fruste” del suo partito, paradossalmente suoi omologhi ma al contrario, visto che durante il precedente Governo proprio l’ex sindaco di Londra era considerato una delle voci più critiche, ma ovviamente tra gli esponenti dell’Hard Brexit, dal votare contro la sua linea: quella di un uscita entro la data limite del 31 ottobre, con o senza accordo (prevista dal Trattato di Lisbona). Pena? l’esclusione dalle future liste elettorali. Una strategia, quella di un uscita entro Halloween, ampiamente condivisa dalla base e che tra le altre cose ha portato Johnson a scalare il partito Conservatore e a sedersi a capo del numero 10 di Downing Street, la residenza ufficiale del capo di Gabinetto, dopo che il suo predecessore, Theresa May, esponente della soft Brexit, era stata sconfitta, anche tradita dal peso contrario delle forze amiche. L’accordo della May è stato bocciato per tre volte alla Camera dei Comuni, anche in modo molto pesante. Proprio il mancato voto favorevole ha portato a stracciare quanto stipulato con la Commissione Europea, e alla formazione dell’Esecutivo.

Il nodo backstop non ancora risolto

L’accordo, più favorevole all’Ue che alla Gran Bretagna, oltre a stabilire una quota di risarcimento di circa 40 miliardi di euro a favore di Bruxelles, di fatto teneva una parte del Regno Unito, l’Irlanda del Nord, all’interno delle regole comunitarie, spaccandone l’Unità territoriale del Regno Unito e esacerbando tensioni di lunga data (i troubles) non ancora del tutto sopite. L’accordo sanciva infatti un backstop, un confine malleabile, per il confine tra l’Irlanda del Nord e la l’Irlanda, relegando a un futuro non definito il modo in cui regolare i rapporti commerciali e di libera circolazione delle persone sia all’interno dell’isola, sia con l’Unione Europea. Nonostante sia da sempre considerato il punto critico dell’accordo di Theresa May, sia gli oppositori che i sostenitori dell’accordo non sono stati veramente capaci di inoltrare una seria alternativa, anche dal punto di vista tecnico e tecnologico, che permettesse il superamento e la definizione della situazione del confine tra le due Irlande.

Brexit, quanta confusione!

Quello che è stato definito dai critici un modo approssimativo e poco razionale di definire una delle tappe più importanti della storia recente della Gran Bretagna e dell’Europa potrebbe subire alcuni importanti scossoni il prossimo 17 ottobre, quando l’attuale premier parteciperò al Consiglio Europeo con gli altri capi di stato e di governo dell’Ue. Secondo quanto dichiarato Johnson punterebbe tutto su quella data per negoziare un accordo di uscita migliore rispetto ai suoi predecessori. Anche se i segnali dati sia da Johnson sia dalle istituzioni, non farebbero presagire uno scenario simile. Per ottimizzare al massimo il risultato, Johnson avrebbe escogitato uno shut-down del Parlamento per 25 giorni lavorativi: in pratica dalla prossima settimana fino al discorso inaugurale della Regina (Queen Speech), il 14 ottobre, il momento in cui la Regina saluterà il Parlamento, inaugurando il nuovo Governo. il Parlamento resterà così chiuso e non ci sarà dibattito. Una scelta dai più ritenuta antidemocratica, ma che dal punto di vista del nuovo premier potrebbe dare maggior forza negoziale al Paese, che in questo modo non offrirebbe nuovi spunti ai falchi europei, che in passato, dal suo punto di vista, si sarebbero approfittati delle numerose debolezze di cui la classe dirigenziale britannica ha dato mostra.

Nuove elezioni?

Se da qui al 12 settembre le opposizioni non metteranno seriamente in difficoltà Johnson la legislatura potrebbe durare ancora a lungo. Al contrario, se ci saranno intoppi, il Regno Unito rischierebbe di andare incontro a nuove elezioni, un ipotesi a cui Jeremy Corbyn, leader del Partito Laburista si è detto non favorevole ma pronto alla sfida. La speranza dell’attuale esecutivo è che con nuove elezioni i Conservatori ottengano una maggioranza più solida e più ispirata ai principi dell’hard Brexit. Magari anche grazie al nuovo sostegno del Brexit Party e dello Ukip, le due forze più euroscettiche del panorama politico britannico, che attualmente sono assenti dall’House of Commons, e il cui equilibrio, lo ricordiamo, è appeso approssimativamente ai sette banchi lasciati vuoti del partito nord irlandese (Sinn Féin), che sin dall’inizio ha deciso di non partecipare alla vita parlamentare, oltre che, ovviamente, all’estrema fedeltà dei suoi alleati. In ogni caso, da domani, il giorno in cui le opposizioni voteranno l’istanza della prorogation fino al 31 gennaio 2020, e il 17 ottobre, giorno in cui Johnson chiederà all’Ue di cedere sul backstop, saranno le date più importanti per definire la Brexit. Sempre che questo compito non sarà delegato a un nuovo Parlamento. Sarebbe fonte di ispirazione degna del miglior humor inglese.

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