I conti che non tornano sui voti del M5S alle amministrative
di dipocheparole
Pubblicato il 2017-06-14
Rinaldo Vignati dell’Istituto Cattaneo oggi scrive un articolo sul Corriere della Sera per segnalare alcune curiose omissioni nelle dichiarazioni di Beppe Grillo e degli altri del MoVimento 5 Stelle riguardo le elezioni amministrative. Il M5S, a detta di Grillo, anche nelle ultime elezioni avrebbe proseguito un processo di lenta ma «inesorabile crescita». Il fondatore del …
Leggi tutto “I conti che non tornano sui voti del M5S alle amministrative”
Rinaldo Vignati dell’Istituto Cattaneo oggi scrive un articolo sul Corriere della Sera per segnalare alcune curiose omissioni nelle dichiarazioni di Beppe Grillo e degli altri del MoVimento 5 Stelle riguardo le elezioni amministrative.
Il M5S, a detta di Grillo, anche nelle ultime elezioni avrebbe proseguito un processo di lenta ma «inesorabile crescita». Il fondatore del Movimento adotta la stessa strategia retorica usata dopo le amministrative 2013: anche allora Grillo replicò a chi parlava di declino dicendo che il confronto doveva essere fatto con le Comunali di 5 anni prima (e non con le Politiche): in questo modo il M5S appariva in grande crescita. A differenza di allora, oggi però Grillo non riporta numeri, segno che ora la posizione è più difficile da sostenere.
Vignati spiega che gli indicatori da guardare per valutare il risultato del M5S sono tre: il primo è la percentuale di Comuni in cui i grillini presentano una lista; il secondo pesa i comuni calcolando il rapporto tra la popolazione di quelli dove c’è una lista M5S e la popolazione totale dei Comuni al voto. Questi indicatori servono a valutare il grado di radicamento nelle diverse zone del Paese. E qui, spiega Vignati, c’è qualcosa da segnalare:
L’espansione non è lineare: nel 2013 c’è un picco a cui fa seguito un calo e poi una crescita più lenta, che però solo al Nord torna a toccare quel picco. Come interpretare questo andamento? L’euforia seguita al trionfo delle Politiche 2013 portò a una crescita spontanea e disordinata, a cui negli anni successivi il vertice del partito ha messo un freno (preferendo, spesso, rinunciare alla corsa pur di non avere candidati fuori controllo). È sintomatico che due delle Regioni che registrano i cali più rilevanti siano Piemonte ed Emilia-Romagna, aree di antico insediamento dove però ci sono state le prime epurazioni.
I dati mostrano che — malgrado la retorica «spontaneista» — lo sviluppo territoriale del M5S è avvenuto sotto il controllo del vertice. E che, anche nel 2017 c’è stata un’espansione. Il terzo indicatore (la percentuale di voti alla lista sul totale dei voti validi nei Comuni in cui è presente) evidenzia un quadro molto meno roseo: se fino al 2016 era chiara la crescita di consensi, il 2017 segna invece un deciso tonfo che — soprattutto al Nord e nelle Regioni «rosse» — porta indietro nel tempo la lancetta dello sviluppo (e della rilevanza politica) del M5S.
Leggi sull’argomento: Davvero il M5S è il primo partito in Italia?