Chi ha rubato la pensione di Robin Hood?

di Massimo Famularo

Pubblicato il 2018-09-19

Nella neolingua pentaleghista con “Riforma della Legge Fornero”, si fa riferimento a una delle più classiche policy di tipo “tana libera tutti”, ovvero un provvedimento che punta a distribuire un uovo oggi agli elettori più anziani, che a differenza dei giovani votano compatti e riescono a fare efficacemente lobbying, nella non proprio edificante prospettiva, che …

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Nella neolingua pentaleghista con “Riforma della Legge Fornero”, si fa riferimento a una delle più classiche policy di tipo “tana libera tutti”, ovvero un provvedimento che punta a distribuire un uovo oggi agli elettori più anziani, che a differenza dei giovani votano compatti e riescono a fare efficacemente lobbying, nella non proprio edificante prospettiva, che sia qualcun altro a rimborsare la corrispondente gallina domani. A fronte del palese squilibrio, che caratterizza il sistema previdenziale italiano, qualunque ipotesi di riduzione dell’età pensionabile si configura come un meccanismo iniquo e perverso che, al pari di un grottesco Robin Hood alla rovescia, toglie ai poveri (giovani) per dare ai ricchi (anziani).

La propaganda populista costruisce il proprio inganno in tema di pensioni su una rappresentazione illusoriamente statica della realtà: ridurre oggi l’età pensionabile, comporta ovviamente un beneficio molto elevato per coloro che sono vicini alla nuova soglia di riferimento, tuttavia, se la modifica nella regola permane nel tempo (e qui naturalmente casca l’asino) anche per chi è più giovane, la distanza verso l’agognata pensione si riduce. Dove sta il trucco? Seguite questi semplici passaggi:

1. Le pensioni attuali vengono pagate in parte con i contributi versati da chi è in età da lavoro e in parte con un contributo della fiscalità generale
2. Il miglioramento della posizione degli anziani di oggi avviene dunque a spese di chi è in età lavorativa che dovrà versare maggiori contributi previdenziali e/o maggiori imposte e/o di minori risorse per i servizi pubblici
3. Il sistema si regge sull’ipotesi che, in prospettiva, ci sia un numero di persone in età lavorativa sufficiente a mantenere coloro che sono a riposo poiché i contributi di chi lavora oggi non vengono accantonati, ma utilizzati per pagare una parte delle pensioni correnti
4. I giovani che oggi lavorano riceveranno una pensione calcolata con metodo puramente contributivo (commisurata ai contributi versati) chi invece andrà in pensione nei prossimi anni potrà ancora beneficiare di una componente retributiva (slegata dai contributi versata e collegata all’ultima retribuzione percepita)

Si può almeno contare sul fatto che, andando in pensione prima, gli anziani faranno largo ai giovani? Per niente. In economia questa falsa credenza è nota come Lump of Labour Fallacy,  il problema è sempre che il mondo non rimane fermo e la realtà cambia e in questo post Thomas Manfredi chiarisce bene dove risieda l’inganno. Dunque il sistema non è per niente statico, cambia nel tempo, nella struttura vigente è già improntato a garantire a chi va in pensione oggi benefici che i giovani non vedranno neanche con il binocolo e qualunque abbassamento dell’età pensionabile si tradurrà in una maggiore penalizzazione per i giovani e farà crescere l’iniquità del sistema.

Per capire quanto dannose possano essere la modifiche incautamente suggerite proviamo a comprendere quanto è grave (e gravosa per i giovani) la situazione di partenza. Dal sito dell’ INPS 
apprendiamo che le prestazioni pagate nel 2018 dovrebbero ammontare a 416 miliardi di cui 296 provengono dai contributi di chi lavora, 104 dalla fiscalità che grava sia su chi lavora che su chi è in pensione e circa 17 da riduzione del patrimonio dello stesso ente previdenziale.

pensioni giovani

Dunque oggi per chi è in età lavorativa:

1. Tutti i contributi vengono assorbiti dalle prestazioni erogate e nulla viene accantonato per far fronte alle pensioni future che, in promessa, dovrebbero essere commisurate a quanto versato
2. Una parte delle imposte versate viene impiegata per pagare prestazioni e, dunque, sottratta ai possibili impieghi alternativi nei servizi pubblici

Abbiamo già detto che le pensioni future saranno meno generose di quelle attuali, dunque quando i fortunati percettori di pensioni in tutto o in parte retributive non ci saranno più, dovrebbero rimanere solo pensioni contributive e quindi lo sbilancio tra contributi e prestazioni dovrebbe ridursi giusto? No che non è giusto, dipende dalla struttura demografica del paese. Guardiamo ai numeri dell’OECD per capire come questa si è evoluta negli ultimi anni.

Tra il 1970 e il 2014 gli anziani in Italia sono passati dal 11.11 al 21.45% della popolazione, mentre i giovani sono scesi da 25,1% al 14%.

Cosa ci dicono questi numeri? Che la quota di persone che ha l’età per ottenere una pensione è di fatto raddoppiata, mentre il bacino di coloro che hanno sono abbastanza giovani da poter in futuro lavorare per mantenere i pensionati si sono ridotti del 45%. La popolazione in età lavorativa  è cresciuta dal 65.82% del 1970 al 69.43% del 1993 per poi scendere al 64.78% del 2014.

Ok se un po’ più del 20% sono in età da pensione e quasi il 65% della popolazione è in età da lavoro, quanti sono quelli che lavorano davvero? Secondo l’ultima rilevazione ISTAT  il 59% della popolazione in età lavorativa risulta occupato. Come si confronta questo dato con gli altri paesi? Secondo questa rilevazione di truenumbers su base eurostat nel 2017 l’italia era al penultimo posto tra i paesi europei 10 punti sotto la media. Last but not least possiamo guardare alla crescita del pil pro capite su dati della banca mondiale

oscillazioni sensibili tra il +6.6% del 1976 e il -5.9% del 2009, con un trend chiaramente discendente negli ultimi 40 anni.

Per riassumere, il sistema previdenziale odierno è costruito in modo da realizzare un trasferimento di ricchezza tra generazioni: chi beneficia del calcolo retributivo (totale o parziale) si prende l’uovo oggi lasciando ai posteri l’onere di restituire la gallina domani. Questo meccanismo, di per sé ingiusto, è aggravato dagli sviluppi demografici osservati finora, (anziani che aumentano e giovani che diminuiscono), dalla scarsa crescita economica (pil nominale ristagnante e pil pro capite in calo) e dal basso tasso di occupazione. Qualunque ipotesi di intervento al ribasso sull’età pensionabile, che in neolingua si chiami quota 100, riforma legge Fornero o in altri modi fantasiosi, si tradurrebbe in una ulteriore odiosa penalizzazione immediata dei più giovani e in un rincaro del conto già salato che le generazioni future si troveranno a pagare.

Massimo Famularo è su Twitter @massimofamularo 

Leggi sull’argomento: Perché la favola delle pensioni del governo Conte non ha un lieto fine

 

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