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Cecilia Strada spiega perché non c’è bisogno che Zelensky sia un santo per dire che il popolo ucraino è vittima di un’aggressione

Enzo Boldi 29/04/2022

Il pensiero della figlia del fondatore di Emergency che invita tutti a evitare le polarizzazioni eccessive e il benaltrismo. Perché in una guerra si deve sempre pensare prima alle vittime innocenti

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Si può raccontare la guerra e il massacro di civili innocenti anche senza correre alla mitizzazione di un personaggio o arrivare al tipico benaltrismo che pervade i commenti di parte dell’opinione pubblica. Questo è il pensiero di Cecilia Strada che, con un pensiero ben articolato, chiede a tutti di spostare le luci dei riflettori sul dramma delle migliaia di persone morte per una guerra voluta da altri. La figlia del fondatore di Emergency sottolinea, in particolare, come non sia corretto polarizzare arrivando agli estremi: non è giusto descrivere Zelensky come il “nuovo Ghandi” e non è giusto “giustificare” i russi parlando della presenza del “battaglio Azov”. Bisognerebbe parlare di questa guerra in termini di vittime civili di un’aggressione militare. Uomini, donne e bambini uccisi dalle bombe e milioni di cittadini costretti a fuggire tra le macerie per lasciare tutto ciò che avevano.

Cecilia Strada, la figura di Zelensky e il popolo ucraino

Cecilia Strada, su Facebook, parte proprio da questa polarizzazione che vede da una parte la mitizzazione delle gesta del Presidente ucraino e dall’altro il giustificazionismo benaltrista.

“Credo di avere messo a fuoco una cosa che mi disturba parecchio della narrazione della guerra in Ucraina, è una cosa che sta tra ‘Zelensky come Gandhi’ e ‘eh ma il battaglione Azov’. La situazione è chiara: c’è un aggressore, la Russia, che ha invaso l’Ucraina e ne massacra i civili. L’esercito russo è il carnefice, la popolazione ucraina la vittima.
Il mio punto è questo: non c’è alcun bisogno di dipingere Zelensky come Martin Luther King, o di negare l’esistenza di neonazisti nel Paese (ricordiamoci che ce li abbiamo anche noi, eh), o di negare le contraddizioni o i problemi di un Paese per stare, come dobbiamo giustamente stare, dalla parte delle vittime. I leader ucraini potrebbero essere anche leader mediocri, potrebbero esserci anche trecentocinquantamila battaglioni Azov, potrebbero essere stati commessi crimini negli ultimi anni in Donbass, potrebbe essere tutto: e non cambierebbe di una virgola il fatto che la Russia è l’aggressore, l’Ucraina l’aggredito, uno il carnefice, l’altro la vittima, e bisogna difendere le vittime.
Perché mi preoccupa, chiamiamola così, ‘l’idealizzazione della vittima’? Perché la necessità di proteggere le vittime dai loro carnefici non ha e non deve avere nulla, nulla, nulla a che fare con le qualità morali della vittima. Non si proteggono le vittime perché sono brave, irreprensibili, perfette. Si proteggono perché è giusto, e lo si fa anche quando hanno contraddizioni, anche quando non ci piacciono. Altrimenti, che cosa succede? Succede che quando la vittima ci piace un po’ meno, o ci interessa poco o non ci piace affatto, non sentiamo più il bisogno di proteggerla. E questo non va bene. Succede che si sente dire ‘eh, ma il battaglione Azov!’, come se cambiasse qualcosa: allora, visto che ci sono dei brutti ceffi nel Paese, i crimini di guerra sono meno crimini? I civili massacrati sono meno morti? La Russia è meno aggressore? No.
Ecco, per come la vedo io, ‘Zelensky come Gandhi’ e ‘eh ma il battaglione Azov!’ derivano dallo stesso, pericoloso errore. Si sta dalla parte delle vittime perché tra carnefice e vittima si protegge la vittima. Indipendentemente da tutto il resto”.

Dalla parte delle vittime. Come ha insegnato a lei – e al mondo – suo padre. Quel Gino Strada che con Emergency ha supportato le popolazioni devastate dai conflitti e dalle carestie. Quegli esseri umani costretti a perdere tutto, anche quel poco che avevano.

(foto: Vincenzo Bruni/IPP)

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