Carlo Deodato: il giudice della sentenza sulle nozze gay ritwittava le Sentinelle in piedi

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-10-27

Il Consiglio di stato ha depositato oggi le sentenze nei ricorsi contro gli annullamenti prefettizi, pronunciandosi sull’appello proposto dal Ministero dell’Interno e sull’appello incidentale promosso dalle coppie, assistite dagli avvocati di Avvocatura per i diritti Lgbti – Rete Lenford. I giudici si sono espressi nel merito sostenendo la non trascrivibilità dei matrimoni contratti all`estero ed …

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Il Consiglio di stato ha depositato oggi le sentenze nei ricorsi contro gli annullamenti prefettizi, pronunciandosi sull’appello proposto dal Ministero dell’Interno e sull’appello incidentale promosso dalle coppie, assistite dagli avvocati di Avvocatura per i diritti Lgbti – Rete Lenford. I giudici si sono espressi nel merito sostenendo la non trascrivibilità dei matrimoni contratti all`estero ed hanno ritenuto, diversamente da quanto affermato sino ad ora da quattro Tar, che sussista in capo al Ministro e quindi ai Prefetti il potere di annullare gli atti di stato civile.
Ma è curioso che Carlo Deodato, il relatore della sentenza del Consiglio di Stato, su Twitter ritwittasse i contenuti dei giornali che parlavano delle Sentinelle in Piedi, gruppo ultracattolico già passato agli onori della cronaca. Ad accorgersene è il sito Giustiziami di Frank Cimini, insieme alla Stampa.

“La nuova resistenza si chiama difesa della famiglia” è il titolo dell’articolo ritwittato. Poi aveva rilanciato un tweet: “Questa è sì la volta buona per mandare a casa Renzi e per altro governo che non sfasci il paese con riforme dannose”. Il tweet era stato indirizzato a Enrico Letta, l’ex premier, da “Cristina judex”.

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Foto da Giustiziami.it

“Ho solo applicato la legge in modo a-ideologico e rigoroso, lasciando fuori le convinzioni personali che non hanno avuto alcuna influenza”, dice però lui a proposito della polemica all’agenzia di stampa ANSA. Deodato è stato eletto nel Consiglio di Stato nel 2001. Ma poi, di fatto, non ha indossato più la toga fino al governo Letta, assumendo negli anni incarichi alla testa di uffici legislativi e gabinetti di diversi ministeri. È stato consigliere giuridico del ministero delle Comunicazioni e poi delle Attività produttive, quindi capo dell’ufficio legislativo al ministero degli Affari regionali prima e della Pubblica amministrazione poi, capo di gabinetto al ministero della Pubblica amministrazione, capo dipartimento per le Riforme, e infine capo del dipartimento degli affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio con Enrico Letta premier. Con Renzi è tornato a palazzo Spada, ma ha un incarico extragiudiziario gratuito che dura 6 anni come componente della commissione di tutela degli organi di Giustizia, di controllo e dell’Etica Sportiva del Coni. Sul suo profilo Deodato si definisce «Giurista, cattolico, sposato e padre di due figli. Uomo libero e osservatore indipendente di politica, giurisdizione, costumi, società». Di seguito altri suoi retweet:
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La sentenza indica “la diversità di sesso dei nubendi quale prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio”, “in coerenza con la concezione del matrimonio afferente alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell’istituto, oltre che all’ordine naturale costantemente inteso e tradotto nel diritto positivo come legittimante la sola unione coniugale tra un uomo e una donna”. Quindi, secondo i giudici del Consiglio di Stato, l’atto matrimoniale all’estero tra due persone dello stesso sesso “risulta sprovvisto di un elemento essenziale (nella specie la diversità di sesso dei nubendi) ai fini della sua idoneità a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento”. L’atto appare, più che nullo, “inesistente”, visto che manca “di un elemento essenziale della sua stessa giuridica esistenza”. E dunque “il matrimonio omosessuale deve intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate proprio in quanto privo dell’indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio”. La sentenza interviene poi anche su un altro aspetto e cioè sulla legittimità della decisione del prefetto di Roma (all’epoca Giuseppe Pecoraro, ndr) di annullare le trascrizioni delle unioni omosessuali all’estero disposte dal sindaco Ignazio Marino. Il Tar aveva negato al prefetto questo potere, “reputando la relativa potestà riservata in via esclusiva al giudice ordinario”. Il Consiglio di Stato ribalta la decisione sottolineando il “potere di annullamento gerarchico d’ufficio da parte del prefetto degli atti illegittimi adottati dal sindaco, nella qualità di ufficiale di governo, senza il quale, peraltro, il loro scopo evidente, agevolmente identificabile nell’attribuzione al prefetto di tutti i poteri idonei ad assicurare la corretta gestione della funzione in questione, resterebbe vanificato”. Infatti, argomentano i giudici, “se si negasse al prefetto la potestà in questione, la sua posizione di sovraordinazione rispetto al sindaco (allorché agisce come ufficiale di governo), in quanto chiaramente funzionale a garantire l’osservanza delle direttive impartite dal ministro dell’interno ai sindaci e, in definitiva, ad impedire disfunzioni o irregolarità nell’amministrazione dei registri di Stato civile, rimarrebbe inammissibilmente sprovvista di contenuti adeguati al raggiungimento di quel fine”.
“La sentenza – dice la Rete Lenford – si pone in aperto contrasto con le pronunce della Corte di Cassazione sulla validità dei matrimoni contratti all`estero ed arriva ad affermazioni gravi come quella per cui l`attribuzione al giudice ordinario del controllo sulla rettificazione degli atti di stato civile sarebbe contrario alle esigenze di certezza del diritto e creerebbe un sistema non controllabile da un`autorità centrale. La revocabilità in via amministrativa degli atti di stato civile, così ritenuta dal Consiglio di stato, è una decisione che mette a rischio i diritti civili di ogni cittadino e stride con il principio di separazione dei poteri a cui gli ordinamenti democratici sono ispirati”. La sentenza, inoltre, “dimostra una preoccupazione eccessiva nei confronti della politica laddove si pone un tema di ‘opportunità’ che non dovrebbe mai entrare in un`aula giudiziaria. Non condividiamo la decisione – conclude l’associazione – né per i profili di diritto civile né per quelli di diritto amministrativo e riteniamo ci siano gli estremi per continuare a sostenere le ragioni del diritto e portare la questione anche davanti alla Corte Europea dei Diritti Umani”.

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