Perché il decreto Carige è stato fatto in fretta e di notte

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-01-09

Una corsa agli sportelli in atto e in potenza alla base della decisione del governo. Che adesso però rischia di dover intervenire di nuovo. Con la nazionalizzazione

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«Se il governo non fosse intervenuto a Genova si rischiava di aggravare una corsa agli sportelli già iniziata»: nelle parole del presidente della Commissione Finanze alla Camera Claudio Borghi c’è la spiegazione del motivo che ha spinto il governo a salvare Carige in fretta e furia e di lunedì, e non muovendosi nel week end come d’abitudine in questi casi.

Perché il decreto Carige è stato fatto in fretta e di notte

Carige stava rischiando, e tecnicamente rischia ancora, una corsa agli sportelli (o bank run), ovvero quel fenomeno che si verifica quando un elevato numero di clienti di una banca prelevano contemporaneamente tutti i loro depositi per paura che l’istituto diventi insolvente. Un fenomeno che, se non governato, può costringere la banca a finire senza liquidità rendendola quindi incapace di operare. Il commissariamento deciso dalla BCE dopo il flop dell’assemblea dei soci per il rifiuto degli azionisti Malacalza aveva infatti scatenato una fuga di clienti dalla banca e, secondo quanto ha raccontato ieri Dagospia,  lo stesso Pietro Modiano, commissario straordinario della banca, avrebbe chiamato, allarmatissimo, il ministro dell’Economia Giovanni Tria per metterlo al corrente di quanto stava accadendo a Genova. Una continua emorragia di liquidità per la fuga di clienti “pesanti”, ovvero con grandi depositi nella banca genovese.

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L’uscita di Modiano cozza un po’ con la descrizione tipica dei bank run (di solito i clienti più facoltosi sono i primi ad andarsene ai primi scricchiolii delle banche, e a Genova gli scricchiolii erano cominciati da anni) ma aiuta a comprendere la situazione di emergenza in cui il governo si è mosso. Una situazione che non è per niente terminata, visto che la nazionalizzazione vera e propria di Carige oggi è tecnicamente più vicina.

La nazionalizzazione di Carige

Amedeo La Mattina su La Stampa oggi spiega che dal giorno del varo del decreto fino alle elezioni europee può succedere quello che tutti nel governo vogliono esorcizzare: essere costretti a nazionalizzare Carige.

Questa è la terza ipotesi valutata a Palazzo Chigi la sera carbonara del decreto salvataggio dell’istituto genovese. L’ultima carta da giocare che tanto assomiglierebbe a quanto avevano fatto in precedenza gli odiati Renzi e Gentiloni. Ma è quella che dentro il governo c’è chi non considera così remota. Il premier Giuseppe Conte ieri sera a Porta a Porta ha detto che «in questo momento non parliamo di salvataggio della Carige».

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Il tweet di Fittipaldi su Guido Alpa, Giuseppe Conte e Raffaele Mincione

«Confidiamo che ci possa essere una ricapitalizzazione della società da parte degli azionisti. Se questo non avverrà, confidiamo in fusioni con altri istituti e, ove mai ciò non avverrà, si metteranno a disposizione fondi pubblici ma non intendiamo socializzare i costi», ha infine precisato Conte che confida tanto sulle arti magiche del mercato.

I giochi di parole di Conte serviranno a fregare i più distratti e gli ossessionati, ma tecnicamente il governo ha già cominciato a socializzare i costi di Carige fornendo la garanzia statale per le obbligazioni da emettere per raccogliere liquidità sul mercato.

Di Maio, Salvini e Conte: «Abbiamo una banca»

Di certo la nazionalizzazione di Carige rischia di trasformarsi in un boomerang per M5S e Lega. Ieri una tempesta di sfottò si è creata nei commenti allo status con cui Di Maio cercava di difendere la scelta del governo, Salvini si è prudentemente tenuto lontano dal tema come se fosse un crimine di sangue commesso da un italiano, mentre sempre La Stampa suggerisce che dentro il governo, in ambienti più tecnici, c’è la convinzione che i due azionisti della maggioranza non abbiano consapevolezza di come stiano veramente le cose. Oppure ne sono pienamente consapevoli e proprio per questo sperano di rinviare a dopo il voto l’inevitabile amaro calice.

L’intervento del governo, spiegano fonti dell’esecutivo, si è reso comunque necessario per difendere la liquidità che Carige ha in pancia, ovvero 9 miliardi. Soldi cash che Bankitalia e la Bce temono possano andare perduti. Ecco perché questi miliardi andavano «scudati» e protetti. C’è un altro elemento che potrebbe danneggiare questa importante liquidità: gli imminenti report negativi di due agenzie di rating, Fitch e Moody’s.

 

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Vignetta da Twitter

Insomma tutto porta al piano inclinato di una corsa, già iniziata, a ritirare i depositi, dissanguando l’istituto Carige. Ora si aprono i tre scenari di cui parla il premier Conte, tra ricapitalizzazione, fusione e nazionalizzazione sul modello Monte Paschi di Siena. L’ultimo dovrà essere spostato più in là nel tempo. Sicuramente, dopo le Europee.

E visto che non solo Carige è oggi a rischio, la prossima volta che regalano i soldi alle banche i grillini dovranno stare molto attenti. Se persino uno come Paragone morde la mano che l’ha nutrito, la situazione è davvero disperata. Ma non seria.

foto di copertina da Francesco Specchio

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