“Non esistono né conigli né leoni”: quello che avrei voluto dire ad Alessandro, saltato giù da una finestra a 13 anni

di Lorenzo Tosa

Pubblicato il 2022-09-06

Lettera a Alessandro di Gragnano, che avrà 13 anni per sempre

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Gragnano

Caro Alessandro,

Ci ho provato, eh, ma proprio non riesco a togliermi dalla mente quello che dovevi avere dentro nell’attimo in cui hai mandato l’ultimo messaggio alla tua fidanzata, hai scavalcato la finestra del quarto piano di casa tua e ti sei lanciato nel vuoto.

Avevi 13 anni e un cellulare gonfio di insulti, minacce, scherno, addirittura inviti espliciti al suicidio. “Ucciditi”, ti avevano scritto i bulli. E tu, a un certo punto, lo hai fatto per davvero.

Credevi che, almeno così, li avresti zittiti per sempre.

E invece è successo che, il giorno dopo, un uomo, un adulto, un carabiniere, ha scritto che il problema non sono i bulli ma la società che “alleva conigli e non leoni”. Ha scritto che è colpa dei genitori che non hanno saputo crescerti adeguatamente, che “il bullo si affronta dimostrandogli che non si ha paura di lui”.

Questa volta sono stato io, Alessandro, a credere. Credevo che, dopo una cosa così ignobile, dopo aver toccato il fondo, ti avrebbero finalmente lasciato in pace.

E invece è accaduto che in molti – non tutti, intendiamoci, ma troppi – hanno detto che, in fondo, ha ragione lui, il carabiniere. Che ha detto “male” una “grande verità”. Che ti abbiamo troppo protetto, Alessandro, che vi abbiamo eccessivamente difesi, che, se volevi “sconfiggere” i bulli (sconfiggere, che brutta parola) dovevi diventare a tua volta bullo, diventare come loro.

Eppure io, Alessandro, che potresti essere mio figlio (e per ragioni che non sto qui a spiegarti potresti essere mio padre), eppure io non riesco a smettere di pensarci, di pensarti. E, se potessi tornare indietro all’attimo esatto in cui qualcosa dentro di te è scattato e ti ha detto di farla finita – mio dio, se potessi – ti direi che hai ragione tu.

Avevi ragione, Alessandro, non devi combattere, non devi vincere nessuna partita e sconfiggere nessuno. Che va bene anche fuggire se non trovi alternative, ma esistono vie di fuga che neppure immagini. Che non ci sono né “conigli” né “leoni” ma solo esseri umani che cercano disperatamente un rifugio, e a volte hanno solo la fortuna di trovarlo in una persona, in una passione, in un lavoro, in un luogo, e di trovarlo abbastanza in tempo per salvarsi. A volte, è solo questione di tempo, sai.

Ti direi che un giorno ti guarderai alle spalle e sorriderai di quei messaggi sul cellulare che ora ti appaiono così assoluti, così definitivi. E forse proverai persino compassione per chi te li ha mandati. Ti direi che nessuno è sbagliato, neanche loro (sì, suona pazzesco), ma solo una società che non vorrebbe darti alternative tra essere un bullo o saltare giù da una finestra del quarto piano.

Tutto questo avrei voluto dirti, Alessandro, se solo ne avessi avuto l’occasione. Ma, in fondo, sarebbe stato presuntuoso insegnarti quello che noi, noi adulti, noi genitori, non siamo stati neppure in grado di imparare. Noi che nella foga di insegnare, istruire, educare, raccomandare, ci siamo dimenticati di dare l’esempio. Che il bullismo lo facciamo e lo subiamo quotidianamente, solo che gli abbiamo dato un altro nome. Noi che ci affanniamo nel tentativo disperato di cambiare voi senza mai chiedersi se non siamo noi, per caso, ad essere sempre gli stessi.

È finita che tu, Alessandro, tu che potresti essere mio figlio (e un po’ mio padre), hai insegnato qualcosa a me.
Non me lo dimenticherò più, promesso.

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