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Alessandro Di Battista: Isis e altre storie

Alessandro D'Amato 18/08/2014

Il deputato a 5 Stelle non è nuovo a esternazioni all’amatriciana sulla geopolitica del Medio Oriente. Ma c’è di peggio, e lo raccontiamo qui

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Non solo Isis. Alessandro Di Battista è uno dei fenomeni più interessanti del MoVimento 5 Stelle, e il fatto che le sue frasi sul dialogo con i terroristi che stanno mettendo a ferro e a fuoco l’Iraq siano finite soltanto in questi giorni sui quotidiani non rende merito al suo talento. La perla del giorno è contenuta in un lunghissimo minestrone di geopolitica da centri sociali, in cui ci sono i buoni (che sono quelli che mettono le bombe) e i cattivi (quelli che invadono i paesi):

Se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato a distanza io ho una sola strada per difendermi a parte le tecniche nonviolente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana. Non sto ne giustificando né approvando, lungi da me. Sto provando a capire. Per la sua natura di soggetto che risponde ad un’azione violenta subita il terrorista non lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo ad interlocutore.

 
ALESSANDRO DI BATTISTA E L’ISIS
Ora, che l’autore per Casaleggio di «Sicari a 5 euro» abbia voglia di discutere con uno carico di esplosivo è sentimento tanto nobile quanto facile da esternare da dietro lo schermo di un pc. Molto meglio cominciare dalla sua opera prima, finora recensita soltanto su Amazon:

Giovane, entusiasta e con la piena nozione di fare “il mestiere più bello del mondo”, l’autoproclamato “inviato di povertà” ha fatto l’autostop, è vissuto a stretto contatto con i poveri nelle comunità indigene e si è sporcato le mani per comprendere pienamente le storie reali che sono largamente taciute a causa della paura che ha portato ad una forma di sopravvivenza tramite il silenzio. Attraverso queste storie drammatiche, intime e strazianti, l’autore ci mostra l’anatomia del macabro sistema che prevale in numerosi paesi in cui il terrore è stato usato come strumento politico.

alessandro di battista sicari a 5 euro
Ovviamente, c’è anche una sua presentazione, molto più accurata:

Durante il mio viaggio oltre a ricercare le origini del sicariato e le ho trovate in tantissime realtà ho fatto esattamente questo, ho ricercato le possibili soluzioni per contrastare un fenomeno così terrificante e credo di averne trovate alcune.
Paesi come la Colombia e il Guatemala, che sembrano molto distanti e così diversi dall’Italia hanno alcune comuni con il nostro paese e in fondo anche in alcune realtà italiane, ma non soltanto al sud, in alcuni quartieri problematici succedono cose simili a quelle che accadono a Città del Guatemala, probabilmente il prezzo per ingaggiare un assassino è più alto, ma le motivazioni che spingono a uccidere sono piuttosto simili e oserei dire che sono identiche.

In questo video Dibba ci fornisce un’interpretazione del suo studio sull’«origine del sicariato» (sic):

 
CHI È ALESSANDRO DI BATTISTA

Ma chi è Alessandro Di Battista? Nato a Roma il 4 agosto 1978 e cresciuto in quel di Civita Castellana, si è diplomato allo Scientifico con 46 e laureato in Disciplina di Arti, Musica e Spettacolo a Roma. Dalla sua biografia opportunamente ritoccata su Wikipedia, notiamo che:

Nel 2010 è partito per il Sud America lavorando alla scrittura di un libro, Sulle nuove politiche continentali, che lo ha portato a viaggiare in Patagonia, Cile, Bolivia, Amazzonia, Ecuador, Colombia, Perù e Nicaragua. A partire dal 2011 ha collaborato con il blog di Beppe Grillo pubblicando reportage sulle azioni di ENEL in Guatemala.

E scopriamo che il primo libro gli venne “commissionato” dalla Casaleggio & Associati. Sui suoi inizi in politica, poi, non potevano che pesare i precedenti del padre Vittorio Di Battista:

Ironia della sorte: Alessandro è riuscito in ciò che il padre Vittorio aveva sempre sognato. Vittorio, infatti, pur essendo una persona vulcanica, imprevedibile, coerente ed esponente della destra dura e pura locale, ha corso per il Parlamento, la Regione e anche il Comune senza mai ottenere un successo. Ora però è l’uomo più felice del mondo: «Alessandro ha partecipato a un processo di rivoluzione democratica – ha commentato il genitore – e ne sono orgoglioso».

L’austero genitore è andato più in là alla Zanzara:

Su di lui le cronache raccontano in primo luogo di un tentativo di entrare dalla porta principale dello star system italico, come raccontato all’epoca da Franco Bechis su Libero:

Un po’ per scherzo, un po’ sul serio si era presentato nella sezione «attori» di Amici, il talent condotto sulle reti televisive di Berlusconi da Maria De Filippi. Aveva fatto una buona impressione, ricordano bene i selezionatori. E infatti era riuscito a passare le forche caudine delle prime prove, procedendo e sperando di arrivare nel gruppo che avrebbe poi animato la trasmissione. A pochi passi dal traguardo andò male. E forse è stata la fortuna di Di Battista, perché la mancata carriera da attore gliene ha spalancata una più politica. Tornato in Università si è sudato (2007-2008) un master alla Sapienza in tutela internazionale dei diritti umani.

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IL DIBBA-STYLE
Ma il Dibba-style dobbiamo ancora conoscerlo, per evitarlo.  E lo facciamo attraverso questo accuratissimo post di analisi comparso su Micromega a firma di Giuliano Santoro all’epoca del post di Di Battista su Lampedusa e sui fratelli africani da aiutare “a casa loro”. I virgolettati sono di Dibba, i commenti di Santoro:

”I soldi sono lo sterco del demonio scriveva Massimo Fini”.

Massimo Fini è il polemista che da tempo ha abbracciato posizioni quantomeno reazionarie. Fini si è schierato contro i diritti delle donne, ha difeso la guerra come sanità del mondo, ha ribadito più volte di essere per un sano ritorno all’ordine tradizionale. Si dirà, come si dice, “sono provocazioni”. Ma procediamo con Di Battista su Lampedusa.

“Barconi di nuovi schiavi salpano per l’Italia nella speranza di trovare un lavoro che non c’è, non c’è più. È drammatico”.

Il lavoro in Italia non c’è, dice Di Battista. Dunque che vengono a fare? Pare quasi di sentire il mantra razzista dell’uomo medio (“Statevene a casa vostra”). E infatti eccolo che arriva. Un po’ mascherato, ma arriva.

“I fratelli africani dovrebbero stare a casa loro ma a casa loro ci sono immense imprese europee e nordamericane che ungono le classi dirigenti locali per avere appalti e concessioni e continuare la depredazione dell’Africa costringendo i cittadini afrcani a cercare nuovi spazi e nuove opportunità”.

È vero che l’Occidente sfrutta l’Africa. Ma non è questo il punto. Perché per Di Battista, le migrazioni non sono parte della storia dell’umanità, e dunque la libertà di movimento non dovrebbe essere un diritto. No, le migrazioni sono frutto dei poteri economici. Sono una malattia da curare. Una cosa infame.

“È quel che succederà a noi italiani se non prendiamo in mano il Paese. Già espatriamo direzione USA, Australia, UK ma in futuro andremo a vendere Noi le rose nei bar delle zone ricche di Mumbai”.

La conclusione è evidente. Piace, come piace il grillismo, perché non è spiazzante ma rassicurante. Come la lama nel burro, affonda nel senso comune dominante da almeno venti anni a questa parte. Permettetemi di sintetizzare: “Se non torniamo padroni a casa nostra faremo la fine degli africani”, dice il grillino. Di Battista non affronta il tema delle migrazioni in termini globali, meticci, connessi. Non si sogna neppure di chiedere la cancellazione della legge Bossi-Fini o del reato d’immigrazione. Perché ragiona in quanto italiano, cercando di salvare la sua nazione. Qualcuno penserà: ma difendendo la sovranità delle nazioni, Di Battista rivendica anche di voler difendere i “fratelli africani”.
È quello che fanno molti pensatori di estrema destra (a partire da Alain de Benoist, molto amato da neofascisti, comunitaristi e leghisti), che a parole sono per l’uguaglianza di tutti i popoli ma sostengono la necessità che ognuno se ne stia a casa propria, senza contaminarsi. Forse Di Battista quei testi non li ha mai letti. Ma a furia di leggere il mondo da un punto di vista nazionale, rivendicando l’unità del popolo italiano e braccando oscuri complotti plutomassonici mondialisti, finisce per venderci una narrazione di estrema destra.

Non vi sembra di riconoscere in effetti topoi e stilémi tipici della destra non-razzista-per-carità-ma-quei-negri-signora-mia?
 
REAZIONI E ALTRE STORIE
Non è un caso che sia stato solo il Manifesto ad applaudire Di Battista:

È pro­prio — ormai — una regola fissa: quando un arti­colo riceve un coro di belati e ragli di “una­nime ese­cra­zione” da parte della nostra VERGOGNOSA classe poli­tica, da Palermo ad Aosta, un coro di vibrante pro­te­sta: ebbene, è un arti­colo buono, che dice cose inte­res­santi e condivisibilissime.
il depu­tato Ales­san­dro di Bat­ti­sta ha scritto que­sto arti­colo, ottimo. Io non sono del suo par­tito, anzi, del suo Movi­mento, ma lo pub­blico anche come atto di solidarietà.
I poli­ti­canti del PD e del PdL non­ché la solita schiera di intel­let­tua­loidi e pen­ni­ven­doli di regime che fan loro da con­torno, un’utilità — una sola — ce l’hanno: quando belano tutti assieme “Quat­tro zampe buono, due gambe cat­tivo” come in Ani­mal Farm di Orwell, non si può sba­gliare. Si lascia tutti loro su quat­tro zampe e si sta in piedi su due gambe, le proprie.

Ma gli altri? Su Twitter, social network apprezzatissimo dai 5 Stelle, il coro sembra quasi unanime:


E insomma, alla fine, proprio per questo, è difficile non dare ragione a Francesco Merlo:

 Insomma è un picchiatello il grillino al quale ora piace il Califfato e vorrebbe “trattare” con i tagliagole, “elevarli a interlocutori” perché il terrorista “non è un soggetto disumano con il quale non si può parlare…”. Ecco: con la mafia no, con Berlusconi mai, ma all’Isis Di Battista offre lo streaming… Abbiamo avuto nel nostro Parlamento diavoli in forma di ladri e di mafiosi, ora abbiamo i Giufà e i Bertoldo di cui Di Battista è in fondo il caso limite, il più goffo e il più ingenuo nella nuova classe dirigente di pasticcioni e di inadeguati velleitari. Ed è il solo che nessuno prenderà sul serio nella dilagante minchioneria infantile che è la fase terminale della crisi italiana. Meglio i diavoli dei minchioni.

 

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