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Perché Adinolfi non omaggia Davide Giri senza tirare in mezzo George Floyd (che non c’entra nulla)?
di Massimiliano Cassano
Pubblicato il 2021-12-09
Inginocchiarsi per Davide Giri? Mario Adinolfi lancia l’appello alle squadre di Serie A, ma così facendo paragona due omicidi che nulla c’entrano l’uno con l’altro: quello del ricercatore italiano della Columbia University e quello di George Floyd, ucciso dal razzismo sistemico della polizia americana
Mario Adinolfi, leader del Popolo della Famiglia, ha lanciato un appello alle squadre del campionato di Serie A di calcio: “In onore di Davide Giri e della sua vita spezzata dal razzismo mi aspetto di vedere inginocchiate venerdì le squadre di serie A, magari precedute da Laura Boldrini e Myrta Merlino che lo fecero per George Floyd. Mi auguro che sentano il bisogno di compiere un gesto analogo per i giovani italiani colpiti dal razzismo violento che va invece estirpato dal pianeta e non in unico senso, viziato da considerazioni politiche”.
Chissà se ci sarà una squadra in Serie A (magari quella a me più cara, piemontese come lui) che avrà il coraggio di inginocchiarsi per l’uccisione di Davide Giri a New York ad opera di un esponente di una gang violenta di razzisti neri. Si gioca da domani https://t.co/QPnwwmh0oe
— Mario Adinolfi (@marioadinolfi) December 9, 2021
Da dove cominciare. Anzitutto mai nessuna squadra di Serie A si è inginocchiata per omaggiare George Floyd: è un’usanza portata avanti soprattutto nella Premier League inglese, e anche durante gli Europei la nostra Nazionale non ha mai compiuto spontaneamente il gesto ma soltanto in accordo con gli avversari. Questo sul piano tecnico. Su quello ideologico, invece, paragonare quanto accaduto al ricercatore italiano della Columbia University, ucciso da un membro di una gang ad Harlem, New York, mentre tornava a casa di sera dopo una partita di calcetto con quanto successo il 25 maggio 2020 a Minneapolis semplicemente non ha senso.
L’omicidio di Davide Giri, orribile, efferato, inaccettabile, non è avvenuto in una dinamica di sistema. Vincent Pinkney, il pregiudicato 25enne afroamericano che gli ha tolto la vita, ha agito così per la sua natura criminale: poco prima, a Central Park, aveva aggredito una coppia. E dopo, ha assalito un altro italiano, Roberto Malaspina, ferendolo. Quando Derek Chauvin si è inginocchiato sul collo di Floyd, dopo averlo ammanettato e sbattuto a terra, dalla sua parte c’era una cosa che non aveva Pinkney: il potere. Quello conferito dalla legge, non dal possedere un coltello, come nel caso di Harlem. La differenza è tutta lì: il razzismo negli Stati Uniti è talmente radicato che un pezzo delle istituzioni sente il potere di trattare una persona nel modo in cui Chauvin ha trattato Floyd, davanti a tutti, senza battere ciglio. Se non si nota la differenza con un aggressione finita in tragedia da parte di un criminale, è perché non la si vuol vedere, non perché non ci sia.
Peraltro, l’assurda richiesta di Adinolfi di “inginocchiarsi” andrebbe a svilire un gesto che è nato proprio per esorcizzare quanto accaduto a Minneapolis. Se ci fosse da omaggiare Giri, come è giusto fare, sarebbe comprensibile augurarsi una veglia, istituire una fondazione, una qualsiasi manifestazione di solidarietà. Ma il gesto di piegarsi è, e resterà, una condanna ben precisa, che non può essere svilita, strumentalizzata o piegata ad altri scopi. E non saranno le provocazioni degli Adinolfi di turno a tracciare una linea tra chi solidarizza con la famiglia del ricercatore e chi no a seconda della decisione o meno di compierlo.