Cultura e scienze

Perché Salvini dovrebbe essere il primo a lamentarsi del suo libro-intervista

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-05-15

Adesso che i fascisti del Terzo Millennio hanno smesso di lamentarsi per la “censura” patita al Salone del Libro possiamo parlare finalmente di “Io sono Matteo Salvini” e interrogarci non tanto sul perché Salvini abbia lasciato che a pubblicarlo fosse l’editore di CasaPound ma perché non abbia impedito di farlo pubblicare ovunque

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Da una parte c’è il vittimismo dei camerati di CasaPound che sentono di essere ingiustamente “censurati”. Dall’altra c’è quello della giornalista Chiara Giannini che si paragona alle vittime della persecuzione nazista e parlando del polverone sollevato dal suo libro Io sono Matteo Salvini, edito da Altaforte dichiara che quello dei campi di concentramento «È un capitolo della storia vergognoso che mi addolora moltissimo. Hanno subito una restrizione della loro libertà, la stessa che ora sto subendo io». Poi ci sono tutti gli altri, quelli che si chiedono cosa ci sia in questo libro da spingere l’autrice a paragonarsi alle vittime delle persecuzioni fasciste.

L’imprescindibile agiografia di Salvini in forma di intervista

A difesa di Altaforte e contro la censura si sono schierati giornalisti come Pierluigi Battista che combattono le liste di proscrizione al grido di battaglia #brigataVoltaire. Ma non è che con tutta la polemica sul libro-intervista a Matteo Salvini ci stiamo perdendo la possibilità di leggere un capolavoro della letteratura non conforme? Non è che tra le cento domande al vicempremier e ministro dell’Interno si nasconde l’intervista del secolo? Quella che fa chiarezza sui punti oscuri della propaganda leghista e che va a fondo sulla questione dei 49 milioni della Lega. Il dubbio è venuto a molti. Iniziamo con una brutta notizia, la domanda sui 49 milioni di euro – dicono quelli che il libro lo hanno sfogliato – non c’è. Ci sono però domande personali, non certo inedite visto che si tratta di nozioni che presto saranno studiate sui libri di testo nelle scuole di ogni ordine e grado.

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La prima pagina del libro-intervista “Io sono Matteo Salvini” via Twitter.com 

Il tono dell’intervista lo si capisce dalla prima pagina, che ha iniziato a circolare ieri su Twitter. Ma già venerdì scorso sul Fatto Quotidiano Daniela Ranieri aveva dato gustose anticipazioni sul contenuto del libro. L’incipit è di quelli da mandare a memoria, un po’ come Il 5 Maggio di Alessandro Manzoni. «Il suo è il cognome più cliccato su Google in Italia: è l’uomo più desiderato dalle donne dello Stivale, anche, di nascosto da quelle di sinistra». Più che una captatio benevolentiae sembra proprio l’inizio di un’agiografia. E come nei fumetti dei supereroi si parte da quello che è il momento fondativo dove dall’uomo nasce il superuomo. Per Peter Parker è il morso del ragno radioattivo, per Batman la morte dei genitori, per Salvini – apprendiamo – «è quando all’asilo gli rubarono il suo pupazzetto di Zorro».

Dalla domanda delle 100 pistole alle 100 domande a Salvini

Ma sarebbe ingiusto ridurre tutto a queste poche Righe. Perché il libro della Giannini è anche qualcosa in più. L’autrice si interroga su questioni di importanza assoluta “Che sia un
caso da studiare o un condottiero dei tempi moderni da cui prendere spunto?”. Non lo chiamano Capitano mica per caso. Anche le domande sono di quelle che mettono all’angolo il malcapitato. Ecco le prime tre come riportate da Ranieri sul Fatto: «vorrei mi raccontassi la tua giornata tipo»; «ma riesci a ritagliarti spazio per i figli e la famiglia?» e «ma non sei stanco, Matteo?». Probabilmente la domanda “raccontami cosa vedi dalla finestra del tuo ufficio” è stata scartata perché a quanto sembra il ministro al Viminale non ci passa molto tempo, appena 17 giorni in cinque mesi.

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Già nel 2014 Salvini “rivelava” di ricevere avances su Facebook e posava seminudo

Altri spunti comici emergono dalla recensione del Foglio che riporta altre frasi epiche tratte dal libro. Ad esempio quella che Salvini sia un uomo lontano «dall’idea del politico panzuto e incollato alla sedia». Sull’incollato alla sedia non abbiamo dubbi, anche a Bruxelles ci andava poco. Riguardo invece al fatto che Salvini sia poco attaccato alla poltrona, in senso metaforico e non fisico, basti ricordare che fa politica dal 1992 e di poltrone ne ha avute anche più di una alla volta. Emergono le grandi qualità del leader della Lega che sa essere uomo di popolo vicino a grandi e piccini. Perché è ministro e papà come ama ricordare.

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Un uomo lontano dall’idea del politico panzuto

Verrebbe da chiedersi chi non ama Salvini: le donne di sinistra hanno il suo poster appeso in camera, i bambini ormai non sognano più di diventare calciatori o poliziotti ma direttamente Salvini, i vecchi invece lo vedono come quel nipote che non hanno mai avuto, quello a cui ogni anno a Natale possono chiedere quando si laurea o mette la testa a posto. E poi c’è il grande coraggio del condottiero, quello che chiude i porti ma poi appena c’è odore di processo si nasconde dietro l’immunità parlamentare.

Una propaganda da operetta

Alla fine quello che dovrebbe essere il ritratto del nuovo uomo forte ma col cuore tenero, sempre al lavoro, sempre in movimento dedito anima e corpo al Paese finisce per essere un ritratto imbarazzante. L’esaltazione di Salvini che traspare dal libro vorrebbe richiamare magari altre biografie. Ma il risultato è tragicomico, Salvini finisce per diventare una macchietta. Mancano fucile e moschetto, c’è troppa Nutella, troppe felpe. Un po’ come quando Di Battista pubblicò il suo primo libro, quello delle “spremute d’umanità” dal quale il Foglio trasse per mesi citazioni degne dei Baci Perugina o delle bacheche Facebook dei cinquantenni buongiornissimo-kaffe. Più che l’intervista ad un leader tutto d’un pezzo sembra quella ad un sultano che vuole far vedere di essere vicino alla gente e di provare gli stessi sentimenti delle persone comuni.

Manca poi il carattere della novità, della rivelazione. Perché tutto quello che Salvini dice lo ha già detto, scritto, mostrato con fotografie. Se Mussolini veniva ritratto mentre falciava il grano, attività maschia, virile, utile al Paese, Salvini invece si fa fotografare mentre si dedica alla grigliata della domenica. Un po’ come quei maschi over trenta che in un moto d’orgoglio e dopo una settimana passata chini sulla scrivania con la bella stagione affollano i parchi pubblici per sfoggiare l’ultimo tatuaggio sul bicipite e dimostrare le proprie doti di carbonizzatori di braciole e costicine. Certo, ci sfami la famiglia, ma non sei Khal Drogo, sei Fred Flintstone.

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In effetti era tutto chiaro già dal lancio pubblicitario

Se l’intento era quello di esaltare la figura di Salvini come capo politico carismatico con domande puntute come quella sul suo primo bacio non ci siamo. Se invece lo scopo era quello di mostrare che Salvini alla fin fine è un normalone allora del libro non c’era bisogno. Perché alla fine l’unica domanda è: davvero c’era l’urgenza di fare queste 100 domande a Salvini? E la risposta è no.

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