Il piano di Di Maio per uscire dall'euro (non esiste)

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-12-18

A mali estremi, estremi rimedi. Il candidato premier ci fa sapere che in caso di referendum per uscire dall’euro lui voterebbe Sì. Ma al tempo stesso spera di non doverci arrivare perché sa bene quali sarebbero le conseguenze. Eppure c’è un problema che Di Maio sottovaluta: soltanto l’annuncio di una consultazione popolare provocherebbe le conseguenze dell’uscita. Quello che dice è quindi impossibile

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Due settimane fa la deputata pentastellata Laura Castelli ha fatto scena muta alla domanda su cosa voterebbe in caso di referendum per l’uscita dall’euro. In prima battuta la Castelli aveva detto “non si dice” e poi aveva corretto il tiro dicendo “non lo so”. È però impensabile che i rappresentanti e i portavoce di un partito che da anni cavalca il tema dell’uscita dalla moneta unica non vogliano dire in modo chiaro cosa voteranno e come vorrebbero gestire l’uscita dall’euro.

Luigi Di Maio è per uscire dall’euro

Oggi durante un’intervista a L’Aria che Tira su La 7 Di Maio ha finalmente fatto chiarezza su quale sarà la posizione del MoVimento 5 Stelle in caso di eventuale referendum. Secondo Di Maio «se dovessimo arrivare al referendum sull’uscita dall’euro, che per me è l’extrema ratio, è chiaro che sarei per l’uscita perché vorrebbe dire che l’Europa non ci avrebbe ascoltato su nulla, ma prima proverei a ottenere risultati andando in Europa». Qualche tempo fa infatti il leader pentastellato se ne era uscito con la brillante idea di usare la minaccia del referendum come arma finale una volta seduto al tavolo delle trattative con i partner europei. Ma il piano di Di Maio è destinato a fallire miseramente. Non tanto perché non potremo uscire dall’euro quanto per quello che succederà in attesa dell’addio alla moneta unica.
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Come è noto infatti nel nostro Paese non è possibile indire referendum consultivo. Per renderlo possibile il M5S ha già spiegato che interverrà con una legge costituzionale. Un percorso che non è esente da inside. La nostra Costituzione prevede infatti che per evitare un referendum popolare confermativo l’eventuale riforma costituzionale dei 5 Stelle debba essere approvata da almeno i due terzi dei componenti di entrambe le Camere. In caso contrario la legge di modifica costituzionale che introduce il referendum consultivo sarà a sua volta essere sottoposta a referendum. Anche in quel caso però l’uscita dall’euro non sarà automatica perché il Parlamento dovrà votare l’abrogazione della legge che ratifica il trattato di adesione all’euro. Tutto questo procedimento richiede tempo, tempo che come nel più famoso dei proverbi è denaro.

Perché il referendum per uscire dall’euro non ha senso

E il denaro in questo caso sono i soldi degli italiani. Secondo Di Maio il referendum sarà l’extrema ratio. Ma l’arma referendaria, fino a che il governo italiano non ne creerà le condizioni, sarà inevitabilmente spuntata. Il candidato Premier del M5S crede probabilmente che sia sufficiente “andare in Europa” a dire che se non otterrà quello che vuole verrà indetto il referendum. Ma in Europa sanno benissimo che fino a che non sarà possibile indirlo quello di Di Maio sarà un bluff. Il M5S ritiene che in sede europea sia sufficiente ricordare – come ha detto Di Maio a Myrta Merlino – che “siamo noi, l’Europa, siamo la seconda forza manifatturiera d’Europa, siamo un paese fondatore”.
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Il problema è che in Europa si decide democraticamente, e la storia “gloriosa” del nostro Paese conta poco. Conta più la capacità di saper convincere gli interlocutori. Non si capisce quanto sia chiaro a Di Maio (e ai suoi elettori) che quella dell’uscita dall’euro non è una minaccia da fare a cuor leggero. Anche solo parlare di referendum per uscire dall’euro può essere molto rischioso. Come la prenderebbero i mercati? Se i sondaggi dovessero riportare una maggioranza stabile per la permanenza nell’euro, sui mercati non succederebbe nulla. Viceversa se i Sì fossero in vantaggio ci sarebbe un rialzo dello spread che andrebbe a colpire i titoli di debito italiani, i tassi di interesse schizzerebbero alle stelle e il governo troverebbe deserte le aste, con conseguente difficoltà nell’erogare stipendi e servizi (anche se va detto che il Tesoro ha sinora accumulato ingenti riserve che potrebbero essere usate per tamponare la situazione).
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Stefano Fassina ha ricordato a Di Mio che «il referendum consultivo e’ impraticabile per evidenti ragioni pratiche: la fuga di capitali dall’Italia e l’impennata degli spreads sui nostri titoli di Stato al solo annuncio di volerlo celebrare. Quindi per poter votare, sin dalle prime voci di voler procedere, sarebbe necessario bloccare i movimenti di capitali, razionare accesso ai depositi bancari, rinviare emissione di Titoli di Stato e spese pubbliche». Infine c’è un piccolo dettaglio. Qualche giorno fa Di Maio ha detto di voler mantenere il bonus da 80 euro. Secondo il M5S però il bonus era una sorta di “contropartita” ottenuta da Renzi in sede europea. Come farà Di Maio a chiederlo ancora all’Europa (ovviamente non è così ma i 5 Stelle la pensano in questo modo) e al tempo stesso minacciare di uscire dall’euro?
 
 
 

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