Economia

Il M5S gioca alla roulette russa sul referendum per l'uscita dall'euro

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-12-07

Ieri Laura Castelli ci deliziava con i suoi “non lo so” riguardo al voto sull’uscita dall’euro. Oggi Luigi Di Maio ci spiega come andrà a trattare in Europa: con una pistola (puntata alla tempia degli italiani)

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Dopo la brillante performance di Laura Castelli a Otto e Mezzo in molti si staranno chiedendo qual è la posizione del MoVimento 5 Stelle sull’euro. È impensabile che la deputata di un partito che punta a governare il Paese si rifiuti di dire cosa voterebbe ad un eventuale e ipotetico referendum sull’euro. Ieri la Castelli dopo aver detto che “il voto non si dice” ha ammesso che – anche se l’argomento rientra nelle sue competenze (sic) – di non sapere cosa votare. Eppure il tema del referendum per l’uscita dall’euro è un vecchio pallino del M5S, come è possibile questa reticenza nel non voler dire ai cittadini qual è il programma del MoVimento su un tema così importante?

Luigi Di Maio: il giocatore

La spiegazione ce la dà oggi Luigi Di Maio sulla Stampa. In un’intervista con Ilario Lombardo e Mauro Zaterin il candidato premier del MoVimento 5 Stelle ha definito il referendum sull’euro “una pistola che resta sul tavolo”. Secondo Di Maio la linea del M5S sull’Europa non è cambiata, ad essere cambiate sono le condizioni all’interno dell’Unione. Il che è vero solo in parte. Perché se da un lato è ovvio che gli equilibri interni alla UE stiano cambiando per adattarsi al post-Brexit non è vero che sull’euro il M5S non ha mai cambiato idea.
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Facciamo qualche passo indietro. Nel 2014 il MoVimento annunciava l’inizio della raccolta firme per una consultazione che si sarebbe dovuta tenere tra dicembre 2015  gennaio 2016. Secondo i piani originari di Grillo e del M5S l’uscita dall’euro sarebbe dovuta avvenire entro i primi mesi del 2016. Il M5S aveva anche aperto un sito ( fuoridalleuro.com) per promuovere la raccolta firme. Il sito però non è più online.
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Altri tempi si dirà. Tempi in cui deputati e senatori del MoVimento facevano apertamente campagna per l’uscita dall’euro senza paura di dire cosa avrebbero votato. Ma è durata poco. Luigi Di Maio ad esempio oltre al referendum consultivo sull’euro si è detto favorevole ad un Euro 2 o all’utilizzo di monete alternative (in realtà complementari) senza spiegare però se ha in mente una riforma dell’Euro o della creazione di un’Eurozona a due velocità.

Il senso di Luigi Di Maio per le trattative internazionali

Nel frattempo il referendum sull’euro è scomparso dal programma politico del M5S mentre più di recente (maggio 2017) Di Maio ha iniziato ad accarezzare il sogno di “cambiare l’Europa” invece che uscire dall’euro. L’idea espressa nell’intervista alla Stampa è più o meno la stessa. Di Maio crede che una volta al governo sarà in grado di andare a battere i pugni sul tavolo europeo e ottenere in breve tempo un radicale cambiamento delle politiche monetarie e fiscali dell’eurozona. Il che ovviamente è irrealistico, perché in un Europa a 27 per fare questo servirebbe portare dalla nostra parte la maggior parte dei paesi membri. Cosa che un programma sovranista e antieuropeista come quello del M5S difficilmente riuscirebbe a fare. Fatta salva l’ipotesi di disgregare l’Unione Europea. Ma allora i problemi sarebbero altri.

Minacciando il referendum sull’euro, per quanto consultivo?
«La consideriamo una extrema ratio. Mentre vedo ampi margini di contrattazione su deficit per favorire la crescita».
M5S ha detto che vorrebbe politiche espansive alla Trump. Coi nostri numeri, è difficile senza violare le regole Ue.
«Non voglio violarle. Voglio ricontrattarle, come di fatto hanno fatto Francia e Spagna. Investono nella famiglia perché hanno sforato il tetto del 3% per il deficit. Noi non metteremo tasse sulla casa o patrimoniali».
Torniamo al referendum. La vostra credibilità a Bruxelles sarà sempre limitata se tenete questa pistola sul tavolo.
«Questo è chiaro. Ma l’obiettivo non è rendere felici gli altri. È fare in modo che nell’ambito dell’Ue gli interessi dei diversi Paesi si ritrovino allo stesso tavolo. È un peso contrattuale».

La meravigliosa idea di Di Maio è quella di usare la minaccia del referendum come extrema ratio per convincere che l’Italia “vuole fare sul serio”. Se a qualcuno è venuto in mente Nando Mericoni che minaccia di “salire sul Colosseo e buttarsi di sotto” se qualcuno non lo aiuterà ad andare in America. Nel film però le cose non finiscono bene per il personaggio interpretato da Sordi che non solo non va negli USA ma finisce in ospedale. Ma senza pensare ai film basta guardare cosa è successo a David Cameron. Anche l’ex premier britannico aveva deciso di usare il referendum per l’uscita dall’Unione come arma durante le trattative. Il risultato lo sappiamo: Cameron ha sì ottenuto dalla UE quello che chiedeva ma intanto è stato costretto a indire il referendum e anche se aveva fatto campagna per il remain è stato sconfitto dai leavers.

La raffinata strategia di Luigi Di Maio sull’euro

È abbastanza chiaro che sedersi ad un tavolo assieme ad altri ventisei governi minacciando di farsi saltare in aria non sia il modo migliore per ottenere quello che si vuole. Anche perché la pistola che Di Maio vuole “tenere sul tavolo” non è puntata contro la UE ma alla tempia dell’Italia. Mettetevi per un attimo nei panni degli altri primi ministri europei e vi accorgerete che la situazione è disperata ma non seria. Ma in Italia invece le cose possono andare seriamente male. In primo luogo perché anche se il M5S fosse al governo questo non significa che avrebbe la possibilità di condizionare l’esito di un eventuale referendum. Molte sono le forze politiche che premono per un’uscita dalla moneta unica (in testa la Lega Nord) e anche tra gli elettori del MoVimento ci sono persone che senza dubbio voterebbero per uscire.

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Benda sugli occhi, pistola sul tavolo e siamo pronti per uscire dall’euro


La situazione quindi è questa: Di Maio tiene puntata la pistola alla tempia ma non ha né la possibilità di posarla né quella di non premere il grilletto. Questo lo sanno anche in Europa e senza dubbio non mancheranno di farlo notare al futuro premier pentastellato alla prima riunione. C’è però un altro enorme problema. Ovvero il significato e le ripercussioni che avrebbe anche solo parlare di referendum sull’euro (figuriamoci poi indirlo per davvero). Come la prenderebbero i mercati? Se i sondaggi dovessero riportare una maggioranza stabile per la permanenza nell’euro, sui mercati non succederebbe nulla. Se invece gli italiani si indirizzassero secondo i desiderata di M5S, Lega ed altri partiti favorevoli all’uscita, le cose andrebbero molto diversamente.
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Assisteremmo ad un ritorno in grande stile al rialzo dello spread che andrebbe a colpire i titoli di debito italiani, i tassi di interesse schizzerebbero alle stelle e il governo troverebbe deserte le aste, con conseguente difficoltà nell’erogare stipendi e servizi (anche se va detto che il Tesoro ha sinora accumulato ingenti riserve che potrebbero essere usate per tamponare la situazione). Le banche e i bancomat dovrebbero essere chiusi per evitare prelievi di massa, mentre il governo con un decreto d’urgenza dovrebbe bloccare anche i movimenti di capitali. È difficile immaginare una campagna referendaria serena in un clima emergenziale come questo. Probabilmente la gente terrorizzata si sposterebbe nuovamente verso il “no”, ma nel frattempo il paese avrebbe pagato un prezzo salato. Tutto grazie alla “pistola” del M5S.

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