The Italian Lockdown – Cronache da un Paese in Quarantena: 16. Il Drago

di Lorenzo Favella

Pubblicato il 2020-03-28

Drive-in. Drago che suona la chitarra, fa video e prende like su Faceboook. Angela pensa a quando l’ha conosciuto. Sandinista, In effetti… Sabato, 28 marzo 2020. Spalmata sul divano, ascolti Demis Roussos e ti domandi cosa ci sia in te, di sbagliato. Mia madre è uscita, non so dove. Pianta cipollotti in giardino, dice. Alberto …

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Drive-in. Drago che suona la chitarra, fa video e prende like su Faceboook. Angela pensa a quando l’ha conosciuto. Sandinista, In effetti…

Sabato, 28 marzo 2020.

Spalmata sul divano, ascolti Demis Roussos e ti domandi cosa ci sia in te, di sbagliato.

Mia madre è uscita, non so dove. Pianta cipollotti in giardino, dice.

Alberto non mi chiama. Risponde ai messaggi, questo sì. Dice che a Guastalla hanno aperto un drive-in per i tamponi. Tipo McDonald.
Passi con la macchina, e invece di prendere un cheeseburger, ti fai infilare qualcosa su per il naso.

“Ma tu? Non sei un chirurgo?” chiedo, via whatsapp.
“E’ un emergenza. Si fa quel che si deve” risponde, via whatsapp.

Mettesse un cuoricino, qualche volta, sarebbe meglio.

Il Drago ha preso a fare video su Facebook. Talmente scellerati, che sua moglie lo ha confinato in una stanzetta, tipo ripostiglio, che non lo vuole più vedere, mentre imbraccia la chitarra e distrugge la storia del Rock’n’Roll.

La versione di Hotel California, tardo Johnny Cash in versione rauca, corona virus style, ha un suo perché. Tossisce al punto giusto, dopo aver improvvisato un assolo che non è capace di fare.

Mi messaggia per sapere se mi è piaciuto e metto pure io un like, come tutti, che abbiamo tutti voglia di ridere e sticazzi se ancora non ha imparato a suonare la chitarra come si deve.

Me lo ricordo sempre, il Drago, quando l’ho conosciuto. A casa di un amico comune, lungo la mia via, quando arrivò il disco Sandinista, dei Clash, e non riuscivamo a capirlo.
Cos’era? Quel misto di suoni strani, miscele di toast e groove jamaicani che non ci azzeccavano nulla con quelli che dovevano essere i nostri campioni del punk rock.

Ci si aggrappava a Somebody Got Murdered, per cercare di ritrovare qualcosa dei Clash che conoscevamo.
Niente da fare.
Era una goccia nel mare di un album triplo, pubblicato al prezzo di uno. Però poi… come la mettiamo con sta facciata B, del disco C, che fatto salvo la prima traccia, Version City, per il resto erano solo b-sides, outtakes, remixes… Che poi, nemmeno quelle parole conoscevamo. Insomma, ci sembrava tutta una truffa.
Stavamo incazzati a mille.
Il Drago ci guardava, ascoltava e poi…
“In effetti” era tutto quel che diceva.

Anni dopo, mi sono ritrovato a suonare con lui in una band.
L’ampli non funziona? La chitarra non si sente? Il gruppo si scioglie?
“In effetti” era tutto quel che potevi cavar fuori dal Drago.

Abbiamo suonato assieme per tre anni, forse quattro.
“In effetti” ne avrò sentiti… Facciamo una volta ogni tre giorni? Ci sono almeno trecento giorni in un anno? Ok, cento “in effetti” all’anno, per tre anni, fanno all’incirca trecento “in effetti”. Moltiplica per tre o quattro, fanno almeno mille. Forse più.

Io vorrei vedere voi, a tirar sempre fuori la stessa frase, qualsiasi cosa vi succeda. Roba da strozzarlo e da cacciarglielo in gola, “in effetti”.

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Poi però, anni dopo, che me n’ero andata in Inghilterra, è successa una cosa. Il fratello del Drago, che era un anno più giovane di lui, è morto.
Così, all’improvviso.
Insufficienza cardiaca hanno detto, ma non bastava per capire.
No. Non bastava proprio a spiegare perché una persona così vicina a te, se ne potesse andare dall’oggi al domani, in quel modo.
Nemmeno il Drago l’ha capito. E infatti, niente più “in effetti” ci sono stati. Anzi. Per parecchi giorni, non sembrava più lui e tutti, chi più o chi meno, a seconda delle loro sensibilità, potevano capire.

“In effetti” era davvero una tragedia. Io non c’ero. Ma ci giurerei. Sono sicura che per un sacco di tempo, giorno dopo giorno, un sacco di gente gli è stata vicino, al Drago. Perché si può solo volere un sacco di bene a una persona così. E a furia di dai e dai, così è andata. E poi il tempo, fortunatamente, passa.

Un giorno, mentre al minibar mettevano su una canzone dei Clash, il Drago si è risvegliato da quel triste torpore, quel senso di sconcerto davanti alla vita che sembrava non abbandonarlo più.
Ha sentito cantare Police on my back e non si è trattenuto dal commentare. Quella era l’unica canzone di quell’album che sapeva di Clash, “in effetti”.
E tutti noi, c’ero anch’io quel giorno, lo abbiamo abbracciato. Perché all’epoca ci si poteva ancora abbracciare.

Perché nonostante tutto, nonostante certe ferite non si possano cancellare, il Drago era ancora qui, con noi.

D’altronde, con la vita, finché respiri, non c’è scampo, “in effetti”…

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