Il totonomi del Quirinale

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2014-11-09

I giornali spingono Napolitano fuori dal Quirinale. Repubblica fa uscire la notizia con l’esordio di Folli. Il Corriere segue a ruota, ricordando che l’ipotesi l’aveva fatta prima Breda. E gli altri dietro, a immaginare una successione che non sarà facile

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Tutto sta a vedere da che punto guardi il mondo. Stefano Folli lascia il Sole 24 Ore e Roberto Napoletano, suo ex direttore, dice che è l’addio al suo Punto rappresenta l’occasione per abbandonare un racconto stantio della politica di palazzo per tornare alle cose concrete. Il giorno dopo Folli scrive per Repubblica il suo primo articolo in cui annuncia l’addio di Napolitano al Quirinale e apre ufficialmente la corsa alla successione. Il terzo giorno, quello in cui di solito si resuscita, Marzio Breda sul Corriere conferma l’addio di Napolitano e rilancia con l’annuncio dell’addio a dicembre. Ce n’è abbastanza per raccontare quello che sembra più un addio a mezzo stampa che altro, favorito dalla concorrenza dei giornali.
 
NAPOLITANO, ADDIO AL QUIRINALE
Il Corriere immagina quale potrebbe essere il percorso per l’addio di Napolitano al Quirinale: dimissioni con annuncio alla fine dell’anno, forse proprio nel discorso di Capodanno, e formalizzazione il giorno dopo con il presidente del Senato che prende le funzioni del Capo dello Stato per i 15 giorni successivi, in attesa della convocazione delle Camere per il nuovo candidato.


Marzio Breda, che sta molto ben attento a non citare Folli ma parla di ipotesi di dimissioni rilanciate per via mediatica, spiega adesso il ragionamento del Quirinale:

Per come si sono messi troppi fattori, è ormai un’ipotesi più che sensata. Infatti, per il presidente il limite di «sostenibilità» di un incarico così gravoso,sia sul piano istituzionale sia su quello personale, sembra ormai sul serio alle soglie di esaurirsi. Forse senza possibilità di ripensamenti, a costo di dover certificare un fallimento — in questo caso del Parlamento— rispetto alla speranza di potersene andare lasciando il Paese più «in ordine» di un anno fa. Sulle sue scelte incombe anzitutto un problema di «sostenibilità» fisica, perché Napolitano è da mesi perseguitatoda una serie di disturbi e acciacchi che gli impongono fastidiose terapie e lo fanno dormire poco e male. Tanto da confidare di recente ad Alfredo Reichlin, coetaneo e sodale di una vita: «Non ce la faccio più».

E già che c’è, il quotidiano si scatena nel solito totonomi, che vede in primo piano Roberta Pinotti e Anna Finocchiaro.

Si ridiscute, nuovamente, dell’opportunità di eleggere per la prima volta una donna al Colle. E in questa cornice c’è da registrare che, già da tempo, nel Pd si parla di Roberta Pinotti, facendo presente che il curriculum dell’attuale ministro della Difesa può corrispondere alle qualità richieste. Un nome femminile che si affianca ad un altro, che si è fatto molte volte in passato: Anna Finocchiaro, che guida la commissione Affari costituzionali del Senato, dove passerà nei prossimi giorni proprio la riforma elettorale che è nel cuore di Renzi.

Mentre tra le ipotesi di candidatura maschile ci sono ancora Walter Veltroni e Romano Prodi, che però aveva comunicato qualche tempo fa la propria indisponibilità.
 
LA CORSA ALLA SUCCESSIONE
Il tema della successione appassiona molto di più Repubblica, che ha un totonomi più ricco e appassionante:

Il totonomi per il Quirinale di Repubblica (9 novembre 2014)
Il totonomi per il Quirinale di Repubblica (9 novembre 2014)

Claudio Tito nel suo retroscena immagina anche due nomi a sorpresa: quello di Mario Draghi e quello di Piero Grasso.

Ma esistono anche due “fuoriquota” che però nell’immaginario del vertice Dem non posson oascendere al momento la scala gerarchica dei candidati. Uno è Piero Grasso, presidente del Senato. Buoni rapporti con Berlusconi e all’inizio della legislatura un’ottima intesa con il M5S di Beppe Grillo. Il secondo è Mario Draghi, presidente della Bce. Anche se neigiorni scorsi il banchiere centrale confidava al suo staff di «non volerandare al Quirinale: non mi sento tagliato per quel ruolo. Non voglio tagliare nastri e poi devo completare il lavoro a Francoforte». Il suo incarico del resto scade il 31 ottobre del 2019. Ma soprattutto Renzi lo vedrebbe come un tentativo di “commissariamento” europeo e di condivisione della leadership. Soprattutto sa che intorno a Draghi potrebbero coagularsi tutti gli “scontenti”, tutti quelli che vogliono vendicarsi. «Ma io – è il ragionamento che spesso fa il premier – posso contare su quasi 400 “grandi elettori”. Forse devo condividere un candidato, ma di certo nessuno può eleggere un presidente della Repubblica senza di me». La “corsa” verso il Quirinale è solo all’inizio.Ma la prima salita è già molto ripida.

Fatto, Stampa e Sole 24 Ore invece tengono la storia molto bassa (il Sole forse in omaggio di quanto detto qualche giorno prima dal suo direttore).


Ciò nonostante il quotidiano torinese impegna Fabio Martini nell’immaginare uno scenario in cui i Cinquestelle potrebbero trovare, come all’epoca di Rodotà, un nome condiviso che metta in difficoltà il PD:

Renzi continua a preferire l’asse con Berlusconi, conosce l’imprevedibilità dei capi pentastellati, ma sa già che i “grillini” potrebbero metterlo in difficoltà se fossero disponibili a convergere su un candidato con un forte appeal sull’elettorato progressista. Come Romano Prodi. Nel Palazzo in queste ore si tende a ripetere che Grillo «tornerà a fare lo sfasciacarrozze», ma Rocco Palese, deputato di Forza Italia che quotidianamente ascolta ed è ascoltato dagli avversari e perciò considerato “analista” di tutto ciò che si muove nel Palazzo, dice:«Attenzione a ripetere che torneranno indietro. Quel che è accaduto l’altro giorno rischiadi somigliare allo storico autogol della Dc che nel 1992 affondò Forlani, che da presidente avrebbe salvato il sistema. E invece la Lega antisistema si sdoganò e il sistema crollò». Ad ogni schema di gioco corrispondono candidati diversi. Quelli in pole position sull’asse Renzi-Berlusconi sono Roberta Pinotti, Piero Fassino, Sergio Mattarella con una new entry:Linda Lanzillotta. Quanto alla “caratura istituzionale”, il più accreditato è Sabino Cassese. Sono ammessi alla corsa anche gli uomini, perché Renzi annuncia: «La successione non è un problema di genere».

LA DESTRA SCALDA LA MACCHINA DEL FANGO
Intanto la destra comincia il controllio di olio ed acqua alla macchina del fango, visto che il viaggio si presenta lungo. Meravigliosa l’illustrazione di Benny che apre la prima pagina di Libero con le caricature dei candidati ai nastri di partenza (e indovinate chi è la mortadella):

quirinale totonomi
L’illustrazione di Libero in prima pagina oggi (9 novembre 2014)

E anche i lettori del quotidiano di Belpietro si trovano davanti la rosa di nomi più gettonata: Prodi, Veltroni, Draghi, Amato, Finocchiaro. Più l’outsider:

C’è ad esempio Roberta Pinotti,il cui nome gira da mesi e appare ormai bruciato (ma che potrebbe tornare fuori quando meno ce lo si aspetta). C’è Sergio Chiamparino, che ci crede talmente tanto da essersi autocandidato apertamente ed avere chiesto in via preventiva i voti del Movimento cinque stelle (che ieri lo ha prevedibilmente mandato a stendere).C’è la società civile, che a Renzi fa venire l’orticaria ma che gode di credito assai diffuso presso l’opinione pubblica: si dovesse andare a pescare in quel calderone,da Gustavo Zagrebelsky a Stefano Rodotà passando per Gino Strada ci sarebbe soltanto l’imbarazzo della scelta. Ci sono le riserve della Repubblica o sedicenti tali,ci sono i tecnici e ci sono i civil servant. Tutta gente che, in fondo, sa di essere destinata a non toccare palla. Ma sognarenon costa niente.

E Il Giornale? Dalle parti di Sallusti non si fa nemmeno il totonomi. La notizia è completamente ignorata, ma in prima pagina fa bella mostra di sé oggi il cavallo portato all’ospedale per l’ultimo saluto alla padrona. Chissà che tramano…

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