Fatti
A che gioco sta giocando Draghi?
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2022-01-25
Gli incontri e le telefonate con i leader dei partiti che supportano il suo governo. Ma il Presidente del Consiglio non vuole paletti, mentre Salvini indossa le vesti del king-maker
Era inevitabile: i partiti stanno provando a tirarlo per la giacchetta. Perché la politica e questa e lui, chiamato da Sergio Mattarella per guidare un governo di unità nazionale con i suoi ministri tecnici (nei ruoli e nei dicasteri strategici e funzionali) affiancati da quelli politici, sembra non gradire questo trattamento. Perché su Mario Draghi stanno soffiando, in queste ore, due venti: quello di chi lo vuole al Quirinale e quello di chi chiede la sua ferma permanenza a Palazzo Chigi per continuare a essere il deus ex machina e la figura di rilievo internazionale al volante dell’esecutivo sostenuto da una larga maggioranza parlamentare.
Draghi, l’incontro con Salvini e le mosse per il Colle o Palazzo Chigi
E i partiti sono andati in confusione, non riuscendo ancora a confluire – neanche nelle intenzioni – sul nome della figura da candidare ed eleggere come nuovo Presidente della Repubblica. C’è chi vorrebbe l’ascesa dell’ex Presidente della BCE al Colle e chi – invece – spera che rimanga proprio lui a guidare il governo verso l’uscita di questa pandemia e verso la realizzazione definitiva di tutto quell’humus su cui far germogliare i frutti del PNRR.
Non è un caso, dunque, che Mario Draghi ora voglia risposte dai partiti. Perché, invertendo l’ordine dei fattori, al momento sono i partiti a fargli delle domande a cui lui risponde come sempre fatto fin dall’inizio del suo mandato: “Siete voi a dovermi dire cosa volete che io faccia”. Queste, come riporta il quotidiano La Stampa, sono state le parola con cui il Presidente del Consiglio ha risposto a Matteo Salvini che, nella giornata di ieri – la prima di voto per l’elezione del nuovo Capo dello Stato – ha indossato nuovamente le vesti del king-maker avviando contatti continui con Palazzo Chigi.
Nessuno tocchi i ministeri
Perché in ballo c’è il futuro di questo esecutivo e lo spettro di elezioni anticipate. Il leader della Lega non si è limitato a chiedere al capo del governo se avesse ambizioni per il Colle, ma avrebbe messo in campo anche una serie di richieste: qualora si decidesse (come vorrebbe, almeno nelle intenzioni) di nominare al Quirinale una personalità differente da Mario Draghi, il Carroccio vorrebbe una sorta di rimpasto di governo: via i Ministri “tecnici” delle Infrastrutture e dell’Interno (Giovannini e Lamorgese), per lasciare spazio ad altri. Politici. Perché Salvini vorrebbe riprendere in mano le redini di quel Viminale lasciato vacante nel settembre del 2019, un anno dopo il giuramento davanti a Mattarella e un mese dopo lo “schiaffo” del Papeete al governo Conte-1.
Ma Draghi ha schivato questi paletti, come un esperto slalomista in odore di Olimpiadi invernali. Non vuole veti, non vuole che la politica lo metta in mezzo ai giochi di potere che logorerebbero la sua figura. D’altronde era stato chiaro fin dall’inizio del suo mandato. E in attesa di capire le mosse degli altri gruppi parlamentari e dei partiti, la permanenza a Palazzo Chigi dell’attuale Presidente del Consiglio potrebbe diventare più conflittuale nei confronti dei “politici di professione”. Quel “Whatever it takes”, mantra storico fin dai tempi della BCE, potrebbe essere tradotto anche in salsa nostrana: niente mani legate e nessun problema a scontrarsi direttamente con i partiti su decisioni strategiche per il futuro dei partici.
E se andasse al Quirinale?
Questo è lo scenario in caso di permanenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Ma cosa potrebbe accadere in caso di “promozione” alla Presidenza della Repubblica. Lì i piani sarebbero diversi. Come riporta Monica Guerzoni su il Corriere della Sera, il Presidente del Consiglio non disdegnerebbe quella elezione. Sostenuto da Enrico Letta e, magari non oggi ma nelle prossime giornate di voto, con il fronte di consensi che potrebbe allargarsi, l’ex numero uno della BCE sarebbe pronto per l’ascesa al Colle. Prima, però, vuole avere delle garanzie sul futuro del governo: i partiti dovranno incontrarsi e indicare un nome credibile per portare avanti questa legislatura e inseguire tutti quei programmi necessari per mandare in porto la crescita economica (anche attraverso il PNRR) e l’uscita dalla pandemia. Per il momento, però, non ci sono i numeri. Un’elezione a maggioranza dei due-terzi potrebbe rappresentare la via d’uscita ideale per un cambio di guardia a Palazzo Chigi (con tanti nomi per riempire quella casella vacante, da Belloni a Colao, passando per Cartabia). Se, però, i numeri saranno più bassi (o si dovesse arrivare alla minima maggioranza assoluta, Mario Draghi potrebbe dire no. Perché sarebbe il sintomo di una maggioranza divisa a sostegno di un governo che di unità nazionale avrebbe ben poco.
(Foto IPP/Fabio Cimaglia)