Autostrade: quanto spenderà lo Stato per mandare via i Benetton?

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-07-16

Quanti soldi dovrà sborsare CDP per l’operazione suggerita da Mion e accettata dal governo? Chi ci perde? Chi ci guadagna? Che fine faranno gli investimenti nelle Autostrade? Ma i Benetton ci rimettono o no? Domande e risposte nella più grande operazione di ripubblicizzazione della storia d’Italia

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Cassa Depositi e Prestiti dovrà sborsare una cifra vicina ai 4 miliardi di euro per diventare azionista di maggioranza di Autostrade per l’Italia e diluire fino alla perdita del controllo la quota dei Benetton. Secondo il piano definito da Gianni Mion e accettato ieri dal consiglio dei ministri (e ufficializzato successivamente con un comunicato stampa) CDP, che è di proprietà pubblica (il Tesoro ha l’82,7%) ma gestisce i soldi dei correntisti postali, entrerà in Aspi attraverso un aumento di capitale che la porterà a controllare il 33% in base a una valutazione della società compresa tra 9 e 12 miliardi.

Autostrade: quanto spenderà lo Stato per mandare via i Benetton?

L’intero processo richiederà almeno sei mesi di tempo e potrebbe cominciare a settembre per concludersi nella primavera del 2021. Il Sole 24 Ore spiega oggi che sarà diversificato in due step: il primo step prevede l’ingresso di Cdp in Aspi con una quota del 33% attraverso un aumento di capitale compreso tra i 3 e i 3,9 miliardi (a seconda delle valutazioni). Sarà un’iniezione di mezzi freschi riservata alla sola Cdp, il che significa che oltre ad Atlantia si diluiranno anche i soci esteri già presenti nella compagine, ossia Allianz, Edf e Silk Road che insieme hanno complessivamente il 12%.

Il valore definitivo d’ingresso sarà invece stabilito a valle delle perizie che verranno appositamente eseguite da banche d’affari selezionate e poi asseverate da un esperto. Ad oggi l’indicazione prevalente è per una valutazione dell’asset, stante la Rab (regulatory asset base), intorno a 11 miliardi. Allo stesso tempo – come anticipato da Radiocor – verrà ceduto da Atlantia, al medesimo prezzo, il 22% di Autostrade a investitori qualificati indicati da Cdp, tra questi quasi sicuramente Blackstone mentre sarebbe meno convinta la posizione di F2i. Il fondo, stante i termini dell’intesa, guarderebbe ora con cautela all’intero dossier. Mentre resterebbe fortemente interessato Macquarie. Come detto, però, toccherà a Cassa indicare chi farà parte della cordata per il concessionario. Cordata che potenzialmente potrebbe poi ritrovarsi riunita in un veicolo, guidato da Cdp con il 60% del capitale.

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Quanto costerà pubblicizzare Autostrade (Il Sole 24 Ore, 16 luglio 2020)

Una volta completato questo primo passaggio quasi contestualmente verrà realizzato lo scorporo di Aspi da Atlantia con l’attribuzione ai soci della holding delle azioni Autostrade. In quest’ottica, la nuova compagine vedrà la Cassa momentaneamente sempre al 33% e gli investitori al 22% (55% complessivo), la Edizione/Sintonia della famiglia Benetton all’11,3%, i soci esteri (Appia e Silk Road) all’8%, Gic al 3,1%e Fondazione Crt attorno all’1,8%. A questo punto, però, verrà messo in pista anche il debutto in Borsa della società che dovrà avere un flottante di almeno il 50%. In questo quadro è possibile che Cassa, gli istituzionali o Benetton possano decidere di limare le loro partecipazioni.

Edizione potrebbe a quel punto vendere le sue azioni ASPI incassando un valore compreso tra i 900 milioni e l’1,2 miliardi di euro. Repubblica scrive oggi che il piano messo a punto con il governo prevede investimenti per 14,5 miliardi fino al 2038 e manutenzioni per 7 miliardi: si tratta di poco più di 800 milioni di euro all’anno, non una cifra enorme. Ma ci saranno anche i risarcimenti per 3,4 miliardi che fanno parte del pacchetto dell’accordo finale.

Autostrade: tariffe e pedaggi con il gestore pubblico

Ancora: si pronostica da più parti che ASPI accetterà le nuove tariffe stabilite dall’Autorità dei Trasporti che fissano la remunerazione del capitale massima al 7,09% prima delle tasse. I pedaggi dovrebbero scendere di un 5% nei primi anni e poi riadeguarsi fino alla fine della concessione. Uno dei più critici nei confronti dell’operazione è Stefano Lepri sulla Stampa:

Indipendentemente da chi gestirà la nuova azienda, occorrerà dare poteri reali di vigilanza all’Art, l’Autorità di regolazione dei trasporti, e rendere trasparenti al massimo gli accordi con lo Stato. In prospettiva, una scissione in due o tre società potrebbe essere utile a diminuire l’eccessivo potere negoziale che i concessionari hanno avuto negli anni scorsi.  Nell’immediato, occorre capire quale sarà il prezzo di trasferimento delle azioni. La Cassa depositi e prestiti non è contabilmente parte del settore pubblico, ma investe i risparmi postali degli italiani, ed è tenuta a farli rendere. Non è un ente di salvataggio a cui accollare il compito di rimettere insieme i cocci. Si parla di rendere Autostrade una «public company», ma forse alcuni dei politici che usano questo termine inglese non ne conoscono il significato.

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Come cambieranno le quote degli azionisti di Autostrade dopo l’aumento di capitale (La Repubblica, 16 luglio 2020)

Le alterne e pasticciate vicende dal 2018 a oggi su revoca sì e revoca no sono solo in parte scusate dalle clausole di favore incorporate nel contratto di concessione. Da subito dobbiamo sapere quanto costa quella che si vuole far apparire come punizione esemplare ai Benetton. Tra i pericoli opposti di un carrozzone pubblico che bruci denari dei contribuenti, o di una società privata che anche senza azionista dominante poco a poco ritorni ad avere il coltello dalla parte del manico, si può in concreto temere una incerta via di mezzo, esplorata per tentativi e per errori. È troppo chiedere propositi chiari?

Ma i Benetton ci rimettono o no?

Carlo Di Foggia sul Fatto Quotidiano, che ufficialmente è uno dei più entusiasti sull’affare (stamattina titola: “Autostrade libere – I Benetton in fuga”), con la consueta onestà intellettuale ammette che soltanto il prezzo ci dirà se i Benetton ci rimettono o no con l’accordo che è stato proposto da Mion, presidente di Edizione Holding che nei giorni precedenti al CDM aveva incontrato anche Di Maio e che era stato esautorato dalla famiglia di imprenditori veneti per poi tornare per seguire il dossier:

Questo schema consente alla Cdp di non liquidare con soldi pubblici i Benetton e di privare la famiglia di Ponzano Veneto della gestione di Autostrade. Quest’ultima non fallirà trascinando con sé – come succederebbe in caso di revoca –anche Atlantia visti i suoi 9 miliardi di debito garantiti dalla holding: un vero terremoto finanziario e il vero ostacolo al ritiro della concessione. Non è un caso se ieri la holding ha chiuso in Borsa con uno stellare +26%. Significa che i Benetton non ci perdono niente? Ovviamente no, ma quanto dipenderà appunto dalla cifra che Cdp spenderà per entrare in Aspi. Atlantia, per capirci, ha a bilancio l’88% di Aspi a 5,8 miliardi: questa è la cifra a cui deve vendere la sua quota. Se Cdp pagherà intorno ai 3 miliardi per il 33% di Aspi, di fatto Atlantia e i Benetton non avranno perdite. Sotto questa cifra, sì. Il negoziato tra la Cdp e Atlantia sarà quindi fondamentale (dovrà concludersi entro il 27 luglio)

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Il valore di Aspi, però, sarà influenzato anche dall’accordo sulla parte transattiva. Atlantia ha accettato tutte le richieste del governo: 3,4 miliardi di indennizzo; nessuna modifica al decreto Milleproroghe che disattiva la maxi penale in caso di revoca; ritiro dei contenziosi; più controlli e sanzioni per gli inadempimenti; accettazione del sistema tariffario dell’Autorità dei Trasporti che ridurrà i pedaggi; più investimenti e manutenzioni. L’unica condizione non accettata è la manleva legale per lo Stato per l’enorme contenzioso giudiziario che Autostrade si trascinerà dietro. Tirate le somme, la concessione di Aspi, che finora è stata una miniera d’oro, sarà meno remunerativa. Quando pagherà, lo Stato deve ricordarsi anche questo.

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