Quanto ci costerà la battaglia “autonomista” del centrodestra in Sicilia e Sardegna?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2020-02-20

Può sembrare un paradosso, due regioni autonome che già godono di particolari condizioni per quanto riguarda le entrate tributarie in ragione della loro insularità chiedono maggiori risorse e autonomia con l’inserimento dell’insularità in Costituzione. Per la Sicilia si stima che questa “nuova” condizione possa valere dai 4 ai 5 miliardi l’anno. Indovinate chi paga?

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Ci sono le regioni del Nord che chiedono l’autonomia differenziata per poter avere tenere quanti più soldi possibile sul territorio in cambio della gestione esclusiva sulle materie di legislazione concorrente con lo Stato centrale e ci sono Sardegna e Sicilia che provano una mossa simile. Quella mossa si chiama insularità in costituzione. La chiede la Sicilia e lo chiede la Sardegna.

Sardegna e Sicilia chiedono il riconoscimento dell’insularità

Le due regioni a statuto speciale – che hanno stipulato separatamente accordi con lo Stato in materia finanziaria – vorrebbero che lo Stato riconoscesse loro un corrispettivo (economico) per la loro condizione di insularità. Il ragionamento di per sé è molto semplice: dal momento che sono delle isole (il che è ovvio) i loro abitanti sono costretti a subire dei disagi e a pagare dei costi superiori rispetto agli abitanti del “continente”. Pensiamo ad esempio a tutta la questione della continuità territoriale tra la Sardegna e l’Italia continentale (senza dimenticare che la continuità territoriale esiste già).

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Oggi il presidente del Consiglio regionale Michele Pais assieme al Presidente della regione Christian Solinas e ad alcuni parlamentari, prevalentemente di centrodestra, eletti sull’isola ha manifestato a Roma di fronte a Montecitorio proprio per chiedere l’insularità in Costituzione. «La Sardegna è un’isola e spesso siamo abbandonati, per questo il governo deve aiutarci» ha detto la senatrice della Lega Lina Lunesu. Se pensate che la senatrice Lunesu fa parte dello stesso partito per vent’anni ha coltivato il sogno della secessione dallo Stato centrale e che in Lombardia e in Veneto sogna maggiore indipendenza da Roma (quando comoda, naturalmente) ecco un bel quadro delle sfide della nuova Lega “nazionale” e non più padana. Ma in realtà il controsenso è solo apparente: l’importante è che a pagare siano gli altri.

I costi dell’insularità, per gli italiani

Ma perché l’insularità deve essere inserita in Costituzione? Si tratta di un passaggio dovuto proprio dalla natura autonoma delle due regioni i cui due statuti devono essere modificati con un’apposita legge costituzionale. La Sicilia la modifica allo statuto l’ha già approvata nei giorni scorsi con la legge che prevede l’inserimento della condizione di insularità nello Statuto Autonomistico siciliano. All’articolo 38bis dello statuto si legge che «Lo Stato riconosce gli svantaggi derivanti dalla condizione di insularità e garantisce le misure e gli interventi conseguenti per assicurare la piena fruizione dei diritti di cittadinanza dei siciliani». Ci sono voluti tre anni di lavoro, e ora la palla passa al Parlamento. Per quanto riguarda la Sardegna si è scelto (tre anni fa) di presentare una proposta di legge di iniziativa popolare le trattative sono in corso da qualche tempo ma il ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia ha già fatto sapere che i tempi per una modifica della Costituzione potrebbero essere molto lunghi.

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Quanto resta dei tributi regionali nelle casse di Sicilia e Sardegna [Fonte]
Naturalmente il riconoscimento da parte dello Stato della condizione di insularità ha delle conseguenze interessanti per le due regioni. La definizione di insularità comprende il concetto di “discontinuità territoriale” che caratterizza alcune regioni e che determina una specificità di natura economica, trasportistica, ambientale e sociale. In Sicilia la giunta guidata da Nello Musumeci ha già stabilito di stanziare una cifra da 180 a 200 mila euro (“di fondi europei” ha precisato l’assessore al Bilancio) per finanziare uno studio (che sarà pronto a luglio) per valutare quanto vale in termini economici la questione dell’insularità. Tenetevi forte: secondo le prime  stime la condizione di insularità potrebbe valere per la Sicilia tra i 4 ai 5 miliardi di euro l’anno.

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O se volete leggerla altrimenti, l’insularità potrebbe costare agli italiani dai 4 ai 5 miliardi di euro l’anno. E non è finita perché secondo l’assessore dell’Economia Gaetano Armao al costo “occulto” dell’insularità che sarà rivelato da quello studio si aggiungono «le risorse sottratte alla Sicilia. Dai conti pubblici territoriali, per i siciliani siamo oltre i 10 miliardi di perdita secca». Il tutto per una regione che è considerata la “più speciale” tra quelle a statuto speciale visto che beneficia della più ampia autonomia possibile e che gode anche dei trasferimenti del fondo di solidarietà nazionale. Giusto per dirne una: alla Sicilia per legge viene attribuito l’intero gettito delle entrate tributarie ad eccezione di accise, monopoli di stato e una parte del gettito IRPEF e IVA. Sicilia e Sardegna godono dal 1948 di ampia autonomia in materia legislativa e fiscale, il tutto senza la necessità di un riconoscimento dell’insularità. I conti ci dicono che questa forma di autonomia non funziona oppure è gestita male (il numero di dipendenti pubblici in Sicilia è equivalente a quello della somma delle altre quattro regioni a statuto speciale). Non si sa quanto può valere l’insularità sarda, magari verrà fatto uno studio apposito, quello che è certo è che quelle risorse dovranno essere trasferite dallo Stato centrale. La domanda a questo punto è: quante ne rimarranno per i servizi agli altri cittadini e quante per le regioni “autonomiste” del Nord governate dalla Lega?

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