Perché la Sea Watch 3 di Carola Rackete non è andata in Olanda?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-06-27

I patridioti sono indignati: la comandante della Sea Watch Carola Rackete ha perso tempo tenendo “in ostaggio” i migranti quando poteva fare subito rotta verso l’Olanda o la Germania. Ma chi dice queste cose ignora i principi del diritto internazionale marittimo che impongono lo sbarco nel porto sicuro più vicino

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La decisione di Carola Rackete di “forzare” l’inesistente blocco navale e di fare rotta verso Lampedusa dopo 14 giorni di attesa ha scatenato le ire dei sovranisti. Perché in tutto quel tempo la Sea Watch 3 non ha fatto rotta verso l’Olanda o qualche porto tedesco? L’imbarcazione della Ong tedesca ha invece preferito rimanere sul limite delle acque territoriali italiane al largo di Lampedusa. Secondo i fan di Salvini è un chiaro segnale che l’intento delle organizzazioni non governative non è quello di salvare vite ma è quello di portare i migranti proprio in Italia.

Qual era il porto sicuro più vicino alla Sea Watch 3?

È davvero così? Lo stallo di queste ultime due settimane è la prova dell’esistenza di un disegno, di un piano di invasione per trasferire persone dall’Africa al nostro Paese? La risposta è no. Perché è vero che in due settimane probabilmente la Sea Watch avrebbe potuto raggiungere altri porti europei, ma non è così che funzionano i soccorsi in mare. Prendiamo ad esempio il post di Matteo Salvini del 13 giugno. Il ministro dell’Interno informava che al momento del salvataggio delle 52 persone “la nave illegale” Sea Watch si trovava “a 38 miglia dalle coste libiche, a 125 miglia da Lampedusa,  a 78 miglia dalla Tunisia e a 170 miglia da Malta”. Le autorità libiche – che avevano in carico la gestione dei soccorsi – hanno ordinato alla Sea Watch di fare rotta verso Tripoli “come porto più vicino per lo sbarco“.

Anche per Salvini quindi lo sbarco deve avvenire “nel porto più vicino”. Il che come gli esperti di geografia sanno esclude l’Olanda o i porti tedeschi (che si affacciano sul Mare del Nord). Il ministro dell’Interno però dimentica un piccolo particolare. Lo sbarco delle persone tratte in salvo non devono essere sbarcate nel porto più vicino ma nel porto sicuro più vicino, il cosiddetto place of safety (POS). Escludendo dalla lista di Salvini Libia e Tunisia, che per diverse ragioni non possono essere considerati porti sicuri rimangono Italia e Malta. Tra le due la più vicina è appunto (e lo dice lo stesso Salvini) Lampedusa, ovvero l’Italia. Solo una volta sbarcati nel nostro Paese i migranti possono essere identificati e quindi smistati nei vari paesi europei. Questa operazione per ovvi motivi non si può fare a bordo della nave e nemmeno in Libia.

Il problema di andare in Olanda senza aver un POS assegnato dal governo olandese

Una volta appurata la ragione (e il diritto) che hanno consentito alla Sea Watch di fare rotta verso Lampedusa non resta che da chiarire il perché la nave abbia atteso tutti questi giorni per entrare in porto e non abbia fatto subito rotta verso l’Olanda, paese “di bandiera” dell’imbarcazione. Innanzitutto bisogna ricordare che l’Olanda non ha mantenuto una posizione limpida nei confronti di Sea Watch. Già nei mesi scorsi lo stato olandese aveva tentato di impedire l’attività della Ong. Inoltre l’Olanda non ha mai dato alcuna comunicazione ufficiale di presa in carico dei migranti. Fare rotta verso un porto olandese avrebbe quindi significato esporre i migranti a rischi non necessari (quelli della lunga traversata attraverso il Mediterraneo e poi l’Oceano fino ai Paesi Bassi) senza alcuna garanzia che una volta arrivati i migranti sarebbero stati fatti sbarcare. Inoltre (ma questo poco importa per Salvini) in questo modo la Sea Watch si sarebbe allontanata per parecchie settimane dalla zona delle operazioni.

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In Olanda (o in Germania) la Sea Watch non avrebbe potuto nemmeno far leva sulla forza del diritto internazionale. Un qualsiasi porto olandese non può essere certo catalogato come porto più vicino rispetto all’area dove è avvenuto il salvataggio. In genere è l’autorità che ha il compito di monitorare la zona SAR dove avvengono i soccorsi. I libici, che formalmente operano la zona SAR però hanno indicato un porto non sicuro invece di indicare un porto sicuro per lo sbarco.

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L’Italia, che fornisce assistenza logistica alle autorità libiche per il coordinamento dei soccorsi non può esimersi dalle sue responsabilità. Anche perché prima che la Libia (che è uno stato in guerra e che non ha neppure il controllo di tutto il suo territorio) annunciasse di aver assunto il coordinamento sulla sua zona SAR era proprio il nostro Paese a coordinare le operazioni di salvataggio in quella zona di mare al di fuori dalle acque territoriali libiche. Il fatto che il salvataggio sia avvenuto in acque SAR libiche non è certo un problema. Ad esempio non ha impedito a Nave Cigala Fugosi della Marina Militare di portare i migranti in Italia. Qualcuno inoltre sostiene che “stranamente” ogni volta che si verifica un incidente del genere non ci sono altri migranti in difficoltà. Il che non è vero. Ad esempio appena quattro giorni fa Alarm Phone allertava le autorità maltesi di un barcone con 37 persone in difficoltà. Tra il 20 e il 21 giugno un barcone con 120 persone a bordo è stato bloccato dalla guardia costiera libica e riportato indietro. I migranti continuano a partire e a morire, semplicemente gli assetti delle Ong sono limitati e lo stallo con le autorità italiane ed europee impedisce di poter prestare soccorso in maniera tempestiva. Meno Ong in mare significa meno testimoni, e Salvini questo lo sa bene.

Leggi sull’argomento: Come Salvini ha scatenato la gogna sessista contro Carola Rackete, la capitana di Sea Watch

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