Perché chi è contro gli zoo ostacola la conservazione della biodiversità

di Spartaco Gippoliti e Giulia Corsini

Pubblicato il 2020-01-23

Il problema è che una parte della società continua a parlare in maniera fuorviante di “zoo-lager”, “sfruttamento” ignorando il ‘bio-genocidio’ che continua indisturbato a scala planetaria (l’ultimo ha interessato l’Australia, quelli in Borneo e Nuova Guinea attirano meno l’attenzione) nella Sesta Estinzione di massa. Per molte specie e sottospecie, l’intervento umano positivo, come la riproduzione in cattività e i programmi di gestione, è l’unica possibilità di sopravvivenza

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A dispetto di una ricchezza di informazioni praticamente illimitata che caratterizza l’epoca postmoderna, si assiste ad un progressivo depauperamento culturale riguardante il mondo degli animali, promosso da un genere di propaganda fuorviante e fasulla e narrazioni antropomorfiche fantasiose. L’ultimo esempio, per rimanere in tematiche di tipo ‘zoologico’, è quello della giovane tigre confiscata che “ritorna in libertà in Africa”, come se fosse il suo “habitat originario”.

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Perché chi è contro gli zoo ostacola la conservazione della biodiversità

La favola è così perfetta che, a ben guardare, certi ‘dettagli’ appaiono del tutto irrilevanti: una tigre nata in cattività, con genealogia incerta, la cui specie è originaria dell’ Asia, che torna in Africa? Lo stesso dicasi per i macachi ‘liberati’ in un santuario italiano. Alla fine, nella realtà, si tratta di muovere gli animali da una gabbia ad un’altra. Con il risultato che gli zoo (o i giardini zoologici) con regole (in Europa 1999/22/CE) e fondi che provengono dai visitatori, sono il “male”, invece strutture quali i santuari e i rifugi per gli animali, che si mantengono con aleatorie donazioni o con fondi pubblici, senza delle regole stringenti e non si sa bene con quale tipo di personale (almeno questa è la situazione in Italia), sono il “bene” a prescindere. Se la nostra società accetta a cuor leggero questa ed altre favole, vale ancora la pena cercare di promuovere una seria cultura scientifica, soprattutto naturalistica ed ambientale? Non può che essere altrimenti, ne va del futuro di molte specie animali, compreso quel primate autodefinitosi Homo sapiensIl problema è che una parte della società continua a parlare in maniera fuorviante di “zoo-lager”, “sfruttamento” ignorando il ‘bio-genocidio’ che continua indisturbato a scala planetaria (l’ultimo ha interessato l’Australia, quelli in Borneo e Nuova Guinea attirano meno l’attenzione) nella Sesta Estinzione di massa. Per molte specie e sottospecie, l’intervento umano positivo, come la riproduzione in cattività e i programmi di gestione, è l’unica possibilità di sopravvivenza. Esistono specie che sono estinte in natura e che sopravvivono all’interno degli zoo, altre che erano estinte in natura, ma grazie ai programmi portati avanti dagli zoo, sono state reintrodotte con successo e le popolazioni sono oggi autosufficienti allo stato selvatico, come il lupo rosso (Canis rufus), il cavallo selvatico (Equus ferus przewalskii), il bisonte europeo (Bison bonasus) e altre. Ci sono anche specie che si sta tentando di reintrodurre in natura e sono stati segnalati dei successi ma non sufficienti affinché le popolazioni possano dirsi sicure, come nel caso del condor della California (Gymnogyps californianus), il rospo di Kihansi (Nectophrynoides asperginis) e altri. Da decenni l’impegno degli zoo in collaborazione con associazioni ambientali locali ed internazionali (IUCN e WWF in primis) è rivolto alla conservazione di specie minacciate che, con la loro presenza, portano beneficio all’intero ecosistema. Per citare un esempio, l’impegno nella protezione, tramite anche la reintroduzione di individui nati in cattività, dei piccoli primati del genere Leontopithecus (scimmie leonine) endemici della Foresta Atlantica del Brasile sud-orientale, favorisce la sopravvivenza di decine di migliaia di specie endemiche della Regione, come l’oscuro roditore Abrawayaomys ruschii, unico rappresentante del suo genere. Ecco quindi che un costoso progetto di reintroduzione si giustifica con una ricaduta di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e con una serie di misure che vanno ben oltre la salvaguardia di una singola specie, per quanto ‘attraente’. E si badi che questa non è una strategia da ‘terzo mondo’ perché senza gli zoo anche il ‘rewilding’ – termine parecchio di moda oggi – del Vecchio Continente dovrebbe fare a meno di bisonti, visoni europei, gipeti, ibis eremita e diversi altri ‘pezzi’.

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Gli zoo hanno un ruolo essenziale per favorire un determinato tipo di rapporto tra cittadini e animali, che favorisce la comprensione dei principi alla base della moderna biologia della conservazione. Inoltre forniscono una familiarità con altri esseri viventi attraverso un approccio emozionale e soprattutto sano, votato alla conoscenza reale e diretta dell’animale, oltre che alla comprensione dei principi basilari dell’ecologia. Conservare i processi evolutivi, in sostanza, è l’unica via per non addomesticare l’intera biosfera, non certo la creazione di tanti santuari destinati a mantenere in vita animali accuditi e sterilizzati e che finiscono per diventare delle vestigia di quello che fu. In tal senso, i giardini zoologici si configurano come istituzioni culturali nel senso più ampio del termine, il cui staff include medici veterinari, naturalisti, educatori, scienziati e in generale che intrattiene stretti rapporti con altre istituzioni di ricerca. Quanto detto non significa certo che non ci sia spazio per ampi miglioramenti nel mondo degli ‘zoo’- come in ogni altra istituzione umana. Purtroppo a causa delle scarse risorse a disposizione della conservazione e della crescente pressione demografica umana, saremo presto costretti a scegliere su quali specie concentrarci e quali ‘lasciare andare’. In questo triste frangente l’ideologia animalista, con il suo estremo ‘individualismo’, e l’idealizzazione del concetto di ‘libertà’, sembra francamente rappresentare solamente una distrazione di risorse economiche che mira più a soddisfare le intime esigenze etiche di qualche attivista ma non contribuisce in alcun modo a migliorare le condizioni ecologiche – e sociali – del pianeta, anzi. Se il target di milioni di euro è il salvataggio in santuari di pochi individui che hanno perduto il loro valore conservazionistico, questa è una tragica notizia per la vitalità degli ecosistemi e, in definitiva, per il futuro del pianeta.

 

foto di copertina: Bioparco Roma Instagram

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