Paolo Villaggio: com'è disumano lei

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-07-03

Piccola storia delle peggiori “carognate” di Paolo Villaggio. Quando il clown non faceva ridere e parlava di culture inferiori alla nostra. Perché anche Villaggio di cagate pazzesche ne ha dette molte.

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Oggi è morto Paolo Villaggio. Comico amatissimo da moltissimi italiani. Con il suo ragionier Fantozzi ha portato sullo schermo le frustrazioni di generazioni di lavoratori dipendenti per le varie megaditte sparse in giro per l’Italia. Ma il personaggio di Fantozzi non deve trarre in inganno, perché Villaggio non era certo un masochista fantozziano. Anzi, era uno che nella vita non le ha mandate troppo a dire. Qualcuno potrebbe dire che era un “cattivo”. Uno che amava dire le cose anche in modo abbastanza brutale. Forse alle volte in modo troppo brutale.

Quando il clown non faceva ridere

Sì dirà che Paolo Villaggio era un comico e che una delle cifre della sua comicità e della sua satira era proprio la cattiveria. Ma difficile scorgere della comicità in sparate come quelle contro le Paralimpiadi. In occasione di quelle di Londra nel 2012 Villaggio disse alla Zanzara che le Paralimpiadi «fanno molta tristezza, non sono entusiasmanti, sono la rappresentazione di alcune disgrazie e non si dovrebbero fare perché sembra una specie di riconoscenza o di esaltazione della disgrazia». Per il comico genovese le competizioni paralimpiche erano uno spettacolo “un po’ fastidioso” che esaltavano una finta pietà ipocrita. Certo, si tratta di dichiarazioni fatte al programma di Cruciani, dove essere cattivi e crudeli paga. Ma non è tutto.

Commentando a Radio Capital l’iniziativa antirazzista del calciatore Dani Alves Villaggio parlò di quella africana come di una “cultura inferiore”. L’obiettivo del comico era quello di denunciare – di nuovo – l’ipocrisia del buonismo e del finto anti-razzismo. Ma un conto è dire che siamo degli ipocriti un altro che siamo tutti razzisti. Cosa quest’ultima che non è rilevante al fine di commentare un episodio di razzismo se non per sottolineare il proprio, di razzismo. Del resto qualche tempo prima aveva rivendicato con orgoglio il suo diritto a chiamare “negra” l’allora ministra dell’integrazione Cecile Kyenge.

Faceva ridere la famosa battuta sui sardi che si scopano le pecore? No. Era una battuta gratuita, razzista e che puzzava un po’ di vecchio. Eppure Villaggio l’ha fatta. Non certo perché fosse uno che andava sempre controcorrente. Perché non c’è niente di controcorrente nel dire che gli atleti paralimpici sono dei poveretti e che i sardi indulgono nella zoofilia. Lo pensano tutti, lo dicono tutti. Da un grande talento comico ci si aspetterebbe qualcosa di più. Ma forse Villaggio viveva con fastidio l’andare in televisione, e voleva farlo pesare a tutti.

Una carogna di successo

Ma Villaggio era così, un antipatico uno che amava definirsi una carogna. Anzi ne era fiero. Ha litigato con il pubblico in televisione quando ancora la cosa non andava di moda. Memorabile quel “”Zitta lei, vecchia imbecille!” detto alla vecchina in prima fila a Quelli della domenica. Secondo quanto ha raccontato a Vice non stava recitando una parte, era proprio lui: quello contro l’ipocrisia e il buonismo. Ma era anche uno stronzo. Anzi “il più grande stronzo d’Italia”, come scrisse qualcuno. Almeno così è quello che emerge dal racconto del figlio. Ma in fondo è il vissuto di tanti figli di artisti famosi che non hanno mai avuto un rapporto con il padre.

Diversa è la prospettiva della collega di una vita Anna Mazzamauro che qualche anno fa disse che avere a che fare con l’uomo Villaggio era praticamente impossibile. Ma c’era poco da giustificare questo comportamento. Villaggio era così, e proprio perché era così ci ha fatto ridere. Lui ne era consapevole e da grande professionista su questa cosa ci ha scritto un libro “Paolo Villaggio: vita, morte e miracoli di un pezzo di merda” che è diventato anche un monologo teatrale. Insomma Villaggio ha continuato a farci i soldi sul fatto di sapere di essere uno stronzo, ed è forse per questo che il suo alter ego Fantozzi – così diverso da lui, ma ugualmente sfigato – continua a piacerci. È sbagliato? Siamo sbagliati noi? In un’intervista a Panorama Villaggio disse a proposito della sua tecnica di autocontrollo: «L’ho messa a punto insieme a mio fratello gemello. Da bambini ce lo ripetevamo sempre: non bisogna lasciarsi andare, mai. Indifferenza sempre. Pure davanti alle stragi di bambini». E non sono forse gli indifferenti i peggiori ipocriti, quelli che Villaggio ha preso di mira per tutta la sua vita ogni volta che faceva una battuta razzista?

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