Cultura e scienze

In Italia mancano medici?

di Paolo Piergentili

Pubblicato il 2018-10-03

Esistono varie statistiche sui medici operanti in vari Paesi europei ed extraeuropei. I dati differiscono leggermente fra loro a seconda delle fonti e dell’anno, ma costantemente l’Italia compare fra i Paesi con il più elevato rapporto medici / popolazione. Appropriate riforme strutturali del SSN, che avrebbero altre ricadute positive sul suo funzionamento, sono la soluzione per la supposta carenza di medici in Italia

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In Italia non mancano i medici. Esistono varie statistiche sui medici operanti in vari Paesi europei ed extraeuropei. I dati differiscono leggermente fra loro a seconda delle fonti e dell’anno, ma costantemente l’Italia compare fra i Paesi con il più elevato rapporto medici / popolazione. Il grafico 1 riporta i dati dell’OCSE riferiti ad alcuni Paesi della Comunità europea del 2014, l’ultimo anno per il quale c’è una certa completezza. L’Italia è la quarta.

In Italia mancano medici?

Non mancano medici, dunque. Semmai a) molti medici dedicano parte del loro tempo ad attività improprie, ma amministrative o infermieristiche; b) la distribuzione di strutture sanitarie (specie piccoli ospedali) è irrazionale con conseguente inefficienza nell’impiego del personale. Questi aspetti sono spesso interconnessi fra loro. Per esempio. Piccoli ospedali. In Italia ci sono troppi ospedali e di dimensione inadeguata. La tabella 1 riporta il numero di ospedali pubblici o accreditati presso il SSN e il relativo numero medio di posti letto per acuti. Come si vede quelli con meno di 400 pl sono la stragrande maggioranza, e moltissimi sono addirittura sotto 200 pl. In realtà il numero di ospedali piccoli è ancora maggiore. Infatti gli ospedali presidio di ASL possono essere accorpati ai fini funzionali (art. 4, comma 9, DL 502/92). In altre parole, ospedali prima costituiti come entità autonome sono diventati giuridicamente una unica entità, e come tali figurano nel database del Ministero della salute, pur rimanendo strutture separate, spesso in Comuni diversi. Gli ospedali polipresidio sono 135 con in media 441 pl, e assommano 361differenti stabilimenti6.

mancanza medici

I piccoli ospedali costituiscono un problema non solo perché sono costosi e perché è difficile garantire lo stesso livello di qualità che è possibile raggiungere in ospedali di dimensione ottimale (400 – 600 posti letto), ma anche perché sono inefficienti nell’uso delle risorse. La razionalizzazione della rete ospedaliera aiuterebbe a risolvere il problema della scarsezza di alcune figure specialistiche. Un reparto ha bisogno di un numero minimo di personale per funzionare, a prescindere dal numero di posti letto. Non è infrequente osservare duplicazione di strutture a pochi chilometri l’una dall’altra. Tuttavia i localismi ed il poco coraggio dei politici locali impediscono che si metta ordine in questa situazione.

I medici di medicina generale (MMG)

Gli allarmi sulla carenza di questa categoria di medici sono particolarmente elevati con qualche ragione. La loro età media è elevata, e l’entrata nella professione di giovani è lento. Esaminiamo la situazione del 2013 (ultimo anno con dati ufficiali disponibili2). I MMG sono 45.000. Di questi 29.000 hanno una anzianità di laurea ≥ 28 anni, e pertanto una presumibile età anagrafica ≥ 53 anni circa. Dunque questa classe di età sarà completamente andata in pensione entro il 2028. La carenza dei MMG viene però misurata rispetto ad un parametro del tutto artificiale, il cosiddetto massimale. In sostanza nessun medico può avere più di 1500 assistiti. Il massimale però altro non è che una misura protezionistica e contraria agli interessi dei cittadini, introdotta per garantire a tutti i MMG una quota di assistiti e limitare la concorrenza. Ci sono medici bravi, attenti e disponibili, e medici ignoranti e pressappochisti, come in tutte le professioni. I medici bravi raggiungono rapidamente il tetto di assistiti, e i cittadini sono obbligati a scegliere medici di cui poi non sono soddisfatti. Chiaramente i sindacati difendono il massimale, contrari come sono, tradizionalmente, a modelli contrattuali che leghino il salario al merito. Il massimale non incentiva i medici a modalità di lavoro che li rendano popolari fra i potenziali assistiti e andrebbe abolito. La professione si sta evolvendo in modo molto positivo. Il diffondersi di medicine di gruppo empre più evolute permette ai medici di avere personale di supporto che li libera da attività improprie (non solo lavoro segretariale, ma anche attività infermieristiche, quest’ultime addirittura previste dal loro contratto di lavoro; iniezioni, medicazioni, etc.). Gruppi di medici sufficientemente ampi e con un elevato numero di assistiti pro capite avrebbero le risorse per avere personale di supporto amministrativo o infermieristico, e potrebbero concentrarsi su attività propriamente mediche, potendo quindi assistere più cittadini dei 1.500 previsti attualmente. Non solo, potrebbero avere la massa critica, per esempio, per gestire l’assistenza domiciliare, ora generalmente operata dai Distretti, realizzando quindi una organizzazione del lavoro più logica ed efficace; potrebbero avere un bacino di utenza sufficiente per ospitare uno specialista, magari con consulenze che potrebbero vedere i due medici assieme al letto del malato, e altro. In altri termini aumenterebbe la loro produttività e la qualità dell’assistenza fornita. Sarà comunque necessario anche aumentare il numero di MMG immessi in carriera, diminuendo il numero di specialisti in altre discipline. Il costo per il SSN è limitato alle borse per gli iscritti alle scuole, in quanto il monte salari dipende dal numero di residenti e non da quello dei medici convenzionati.

giovani dottori

Pediatri di libera scelta

Prima o poi bisognerà affrontare la questione del pediatra di famiglia. È una figura che esiste solo in Italia. In tutti gli altri Paesi del mondo i pediatri sono medici specialisti che operano in ospedale o in ambulatori di secondo livello. Esistono programmi di primo livello per la mamma ed il bambino, ovviamente, che però vengono gestiti da infermieri pediatrici. I bambini, grazie al cielo, hanno molto poco bisogno di atti medici, ma semmai di programmi proattivi che tutelino il loro sviluppo psicofisico, programmi che non necessitano di personale medico se non come riferimento. I pediatri di famiglia in Italia svolgono principalmente attività non mediche: bilanci di salute, consigli alle mamme sulla gestione del piccolo, e cose del genere, attività molto più adatte a figure professionali di altro tipo. Non vaccinano i bambini, costringendo le Asl a organizzare servizi dedicati. Inoltre, i problemi sanitari di bambini dopo il 4° anno di vita potrebbero benissimo essere gestiti dal medico generalista, a meno da essere così seri da richiedere l’ospedalizzazione. Gruppi di MMG potrebbero avere un infermiere pediatrico che segue i bambini, con un pediatra ospedaliero o poliambulatoriale di secondo livello di riferimento. Nel 2013 i pediatri di famiglia erano 7,700, di cui 4.400 con oltre 23 anni di specializzazione, ed avevano in media 860 assistiti2 (praticamente sono tutti al massimale). E’ chiaro che non potranno essere rimpiazzati. Nel 2017 sono stati messi a bando 427 posti in scuole di specializzazione in pediatria4, e questi professionisti primariamente dovranno coprire i posti ospedalieri. La strategia di dismissione di questo gruppo professionale potrebbe consistere in un primo momento nel blocco delle immissioni di nuovi pediatri e la limitazione degli assistiti alla classe di età 0 – 4 anni. Nel 2013 i residenti di età 5 – 14 erano 5,6 milioni5, e questa popolazione andrebbe ad aumentare il pool di assistiti del MMG, sbocco professionale dove potrebbero essere dirottati una quota di medici che altrimenti avrebbero scelto pediatria, dove il massimale è limitato a 800 scelte (con quota capitaria più elevata) invece che 1.500. In conclusione, appropriate riforme strutturali del SSN, che avrebbero altre ricadute positive sul suo funzionamento, sono la soluzione per la supposta carenza di medici in Italia.

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