Le promesse dei talebani e la realtà

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2021-08-18

Il nuovo corso dei talebani sembra costruito su una differente campagna di comunicazione piuttosto che su idee più moderne: un volto sorridente con cui annunciano la segregazione del prossimo

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I primi giorni della presa di Kabul sono apparsi stranamente meno violenti del previsto. I talebani hanno lavorato come un vero partito, il primo obiettivo è stato quello di offrire una comunicazione serena a tutti: dentro e fuori dai confini del paese. Hanno annunciato di non volere la guerra, mentre imbracciavano un Ak-47. Per le donne, a sentir loro, non ci saranno limitazioni di nessun tipo, potranno condurre una vita normale. Sarà consentito loro di rivestire ruoli pubblici senza limitazioni, salvo tutte quelle previste dalla Sharia, la legge coranica. Verso i collaborazionisti del mondo occidentale poi nessuna rappresaglia, fanno sapere. Insomma, sembra che i talebani arrivati a Kabul siano lontani parenti di quelli che nel 2001 architettarono l’attacco alle Torri Gemelle. Sembra, appunto. Questa mattina sulle colonne de La Repubblica campeggia la testimonianza di Frud Bezhan, giornalista di Radio Free Europe “Dicono quello che il mondo vuol sentire”, taglia corto il corrispondente, “ma fuori da Kabul la situazione è diversa: i talebani hanno reimposto le leggi più repressive, opprimendo le donne e bloccando i media indipendenti”. Alla stampa, il cui ruolo è determinante ma incapace di offrire una visione a 360°, sono state date indicazioni chiare: imparzialità, nessuna trasmissione contraria ai valori dell’Islam o contro l’interesse nazionale.

Le promesse dei talebani e la realtà: i racconti della Onlus Pangea

Adesso la voce che si alza unitariamente è quella legata alla costituzione dei corridoi umanitari. L’obiettivo è far evadere tutti gli afghani che lo vorranno, di fatto decidendo di svuotare il paese dagli oppositori e lasciandolo nelle mani dei talebani. A rischio di creare la diaspora di un popolo. “Abbiamo in Afghanistan un progetto bellissimo di microcredito per le donne, ma che in realtà è un percorso a 360 gradi che le donne fanno con noi: si parte dall’alfabetizzazione, da corsi di aritmetica, igiene, salute riproduttiva, corsi di formazione professionale dopodiché le donne accedono a un microcredito e avviano la loro attività imprenditoriale – racconta Silvia Redigolo di Pangea Onlus, attiva a Kabul dal 2003 -. Ci sono donne che, da sole, riescono a mantenere la famiglia, che come sappiamo, nel contesto afghano, è composta magari anche da 8 bambini, riescono a mandarli a scuola, a comprare il cibo, le medicine, insomma un traguardo importantissimo”. Redigo ha raccontato come è cambiata la situazione della donna in Afghanistan, dal 2003 quando “non esistevano” fino ad oggi in cui il paese conta imprenditori e politici di genere femminile. La portavoce della Onlus ha poi raccontato quello che sta accdendo in queste ore. “Cosa succederà in Afghanistan? Non lo sappiamo, ma sappiamo qual è la nostra priorità: abbiamo a Kabul 20 ragazze afghane che facevano parte del nostro staff e che per 18 anni hanno lavorato per i diritti delle donne e che in questo momento sono barricate in casa perché i talebani stanno girano casa per casa alla ricerca di persone che abbia collaborato con gli occidentali – continua – Queste donne rischiano stupri e violenze e, come tutti, rischiano la vita”.

 

 

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