“Mera apparenza e furbizia”, le durissime accuse a Mimmo Lucano nella sentenza di condanna

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2021-12-17

Non viene contestato e demonizzato il modello Riace, ma vengono contestati alcuni aspetti del comportamento dell’ex primo cittadino

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Una condanna a 13 anni e 2 mesi, quasi raddoppiata rispetto alle richieste della Procura di Locri. Era il 30 settembre quando arrivò la sentenza nei confronti di Mimmo Lucano per il modello di integrazione della città di Riace. E oggi, come anticipato dal quotidiano Domani, sono state anticipate parte delle 900 pagine della sentenza contro l’ex primo cittadino calabrese. E da lì emergono alcune verità: la prima riguarda il modello di integrazione (che non viene giudicato negativamente) e la seconda parla di come l’ex primo cittadino – secondo i giudici – si sia reso protagonista di alcuni comportamenti fuori legge. Anche per difendere l’operato di alcuni suoi collaboratori.

Mimmo Lucano, le motivazioni della condanna sul modello Riace

Come riporta Vanessa Ricciardi su Domani, il giudice del tribunale di Locri – Fulvio Accurso – ha riconosciuto la buona fede di Mimmo Lucano e la passione che lo ha portato a creare quel nuovo mondo fatto di accoglienza nella città di Riace. Anche perché, come scritto dal magistrato: “Il processo si fonda su vicende appropriative che lui ha solo in parte sfiorato”. Insomma, queste sono le premesse che sembrano stonare con la sentenza di condanna a 13 anni e 2 mesi. E anche in altri passaggi delle motivazioni si fa riferimento ad accadimenti che non hanno visto Lucano come protagonista. Perché una delle sue “colpe” è stata quella di

“aver tollerato che i suoi più stretti collaboratori avessero posto in essere numerosi reati di cui egli era a conoscenza”.

Mimmo Lucano, secondo i giudici, non era intervenuto per mettere al freno il comportamento doloso e fuori dalla legge di alcuni suoi collaboratori. Il tribunale di Locri, però, spiega che questo atteggiamento dell’allora sindaco di Riace era figlio di esigenze elettorali e di voti che lui stesso non voleva disperdere:

“Dal momento che ciascuno di loro era portatore di un cospicuo pacchetto di voti, a cui lui non aveva inteso rinunciare, per come sarà dimostrato a tempo debito dalla lettura delle sue stesse parole, che si traggono dalle numerose conversazioni presenti in atti”.

E poco importa, hanno sottolineato i giudici nella loro sentenza di condanna, che Mimmo Lucano non abbia tratto alcun vantaggio economico dal modello Riace. Ed è proprio qui che arriva un giudizio durissimo sul suo operato:

“Perché ove ci si fermasse a valutare questa condizione di mera apparenza, si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza, ignorando però l’esistenza di un quadro probatorio di elevata conducenza, che ha restituito al Collegio un’immagine ben diversa da quella che egli ha cercato di accreditare all’esterno”.

Secondo i giudici del Tribunale di Locri, una parte dei fondi richiesti dal Comune di Riace per l’accoglienza sarebbero stati destinati all’acquisto di un frantoio e di due immobili che sarebbero dovuti diventare alberghi per i turisti. I magistrati, anche in questo caso, ci vanno giù duri perché, secondo loro, tutto ciò rappresentava una:

“una forma sicura di suo arricchimento personale, su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera, per garantirsi una tranquillità economica che riteneva gli spettasse, sentendosi ormai stanco per quanto già realizzato in quello specifico settore, per come dallo stesso rivelato nel corso delle ambientali che sono state esaminate”.

(FOTO IPP/MIPA)

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