“La tendenza è inesorabile”, il monologo di Michele Serra suoi morti civili nelle guerre | VIDEO

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2022-03-28

Il giornalista e scrittore parla di come la storia abbia messo in evidenza la crescita di cittadini morti rispetto ai militari nel corso dei vari conflitti

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Il tema è sempre lo stesso: la storia insegna che (in realtà) non insegna un bel niente. Altrimenti l’essere umano avrebbe da tempo smesso di provocare conflitti, generare tensioni e coinvolgere innocenti cittadini in guerre di potere che hanno riflessi nel rumore assordante di missili, bombe e proiettili che uccidono civili. E i numeri sono il freddo risultato di come l’uomo sia completamente soggiogato da questa dinamica bellicosa che provoca morti che crescono in modo esponenziale di guerra in guerra. Numeri di cui ha parlato domenica sera Michele Serra.

Michele Serra e i morti civili di tutte le guerre più recenti

Lo scrittore e giornalista ha mostrato come nel corso dei conflitti più recenti (partendo dalla prima guerra mondiale per arrivare ai dati, ancora non confermati, di quella in Ucraina) la crescita dei morti civili in rapporto ai morti militari sia una tendenza – di fatto – inesorabile. Razionalmente inesorabile. E nello studio di “Che Tempo che fa”, Michele Serra ha riportato i numeri che sono il simbolo di una tragedia perenne.

“La guerra deve avere, evidentemente, il suo fascino. Se non lo avesse sarebbe una delle attività predilette dagli umani. La guerra ha una sua estetica e persino una sua etica. La guerra di liberazione da un oppressore, per esempio, è una guerra etica. Un partigiano è sepolto all’ombra di un bel fiore, ma impugna un mitra. Quanto all’estetica, non si sa da che parte cominciare: l’Iliade, Ettore e Achille, le gesta di Orlando a Roncisvalle, Lancillotto e i cavaliere della tavola rotonda, Robin Hood con il suo arco infallibile, il Barone Rosso che domina i cieli con un trabiccolo. Anche i supereroi, da Spiderman a Batman ai Fantastici 4, sono guerrieri. La letteratura, il cinema, la pittura senza la guerra perderebbero uno degli argomenti più potenti. L’estetica della guerra è legata alla destrezza fisica, al coraggio, alla coreografia e al gesto agonistico. Lo sport incarna molto di quella estetica, tutti gli sport di squadra sono l’imitazione incruente e ben regolate della guerra. E poi ci sono le uniformi, le armi, gli inni, le bandiere.
Da bambino giocavo molto con i soldatini, lo schieravo sul tappeto della mia camera e ci mettevo ore. Il gioco era quello. I colori erano bellissimi. Ora, però, il gioco è molto cambiato. Il tappeto della mia cameretta non basterebbe più. Intanto perché ai soldatini tradizionali dovrei aggiungerne altri, con uniformi di nuovo tipo: il camice bianco dello scienziato che studia le armi chimiche e biologiche, la grisaia del consigliere di amministrazione delle fabbri di armi. Una volta schierati i soldatini sarei soltanto dall’inizio. Dovrei aggiungere qualche ospedale bombardato, pazienza se pediatrico, qualche scuola ridotta in cenere, qualche quartiere raso al suolo, qualche città evacuata con le file dei profughi che si allontanano. Dovrei aggiungere il teatro di Mariupol con i rifugiati sepolti sotto le macerie, un po’ di culle incenerite.
Nella prima guerra mondiale i morti con l’uniforme addosso, furono 10 milioni. I civili sette milioni: tanti, ma meno dei soldati. Nella seconda guerra mondiale sono morti circa 24 milioni di soldati e 43 milioni di civili. Le proporzioni si sono ribaltate, le vittime civili sono quasi il doppio. La tendenza è inesorabile. Nella guerra del Vietnam muoiono 60mila soldati americani e 3 milioni di vietnamiti, dei quali circa 2 milioni di civili. Guerra in Iraq, circa 15mila militari morti e 160mila civili. Guerra civile in Siria: mezzo milioni di morti morti e 23 milioni di abitanti ridotti a un quarto perché i siriani scappati all’estero sono 5 milioni e mezzo. In Ucraini non si sa quando potremo fare i conti, ma saranno conti terribili. Anche Ermanno Olmi che era il più pacifico e più evangelico dei registi italiani si lasciò suggestionare dall’estetica della guerra. Uno dei suoi film più belli, “Il mestiere delle armi”, è la storia di un capitano di Ventura: Giovanni dalla bande nere. Un soldato valoroso che esce di scena sopraffatto dai tempi che cambiano. Capisce che non è più il valore militare a regolare le guerre, non è il coraggio, non è la prestanza fisica, non è Achille, non è Ettore. Non è Spiderman. A decidere la guerra sono i soli due veri supereroi del nostro tempo: il denaro e la tecnologia. Per fortuna non so dove sono finiti i soldatini con cui giocavo da bambino perché non saprei più che cosa farmene”.

(foto e video: da “Che Tempo che Fa”, RaiTre)

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