Cultura e scienze
Led Zeppelin, la storia della cover di Physical Graffiti
di Giovanni Drogo
Pubblicato il 2015-02-05
Per festeggiare l’anniversario della pubblicazione disco uscirà in versione deluxe con pezzi inediti. La storia della sua copertina ai raggi X
Quasi quarant’anni fa, il 24 febbraio 1975, fa usciva il sesto album dei Led Zeppelin: Physical Graffiti, un doppio album che con 16 milioni di copie vendute fu 16 volte disco di platino negli USA (e il quarto primo posto nelle chart USA per gli Zeppelin). In occasione dell’anniversario (e proseguendo l’operazione di riedizione del catalogo di Jimmy Page e compagni) il 24 febbraio uscirà la ristampa deluxe di Physical Graffiti. Ovviamente la ristampa avrà alcune “chicche”, ad esempio la versione deluxe con 3 cd (o tre LP) con versioni inedite di alcuni dei pezzi poi finiti del disco.
I LED ZEPPELIN ALLA PROVA DEL DOPPIO ALBUM
La storia di Physical Graffiti è la storia di quei dischi che quasi ogni gruppo musicale del periodo ha inciso all’apice del successo. Doveva essere un doppio album perché i Beatles (White Album), i Rolling Stones (Exile on Main St.) e gli Who (appena l’anno prima avevano pubblicato Quadrophenia) avevano inciso un doppio, che quindi era visto come una delle “cose da fare” quando si è famosi. Altro “problema” di Physical Graffiti: l’album arrivava dopo i primi quattro dischi della band, veri e propri capolavori dell’hard-rock e i Led Zeppelin ormai nell’Olimpo del Rock non avevano tempo e voglia di sperimentare nuove sonorità (e qui i critici più attenti diranno che i Led Zeppelin non hanno mai veramente sperimentato al di fuori delle strade sicure del Blues). Gran parte del materiale usato per dare vita al disco faceva parte di quell’immenso archivio di canzoni scartate dalle registrazioni dei dischi precedenti (con alcuni pezzi risalenti al 1970). Ma ricordiamo che erano pur sempre gli scarti dei Led Zeppelin, non quelli di Ligabue. In aggiunta a questo Physical Graffiti fu anche il primo disco pubblicato dalla casa discografica di Robert Plant e compagni, la Swan Song. Ancora una volta i Led Zeppelin attingono a piene mani dal repertorio blues americano, In my time of dying
https://www.youtube.com/watch?v=dGR3m5Zs9Ic
si ispira non a un canto di lavoro come racconta Plant presentando il pezzo ma di una registrazione del 1927 di Blind Willie Johnson: Jesus, Make Up My Dying Bed:
Ma questa è una costante del lavoro dei Led Zeppelin che non toglie valore alla musica che hanno prodotto durante la loro carriera. Il riff del pezzo più famoso del disco invece, Kashmir, ispirerà un pezzo altrettanto famoso dei Rage Against the Machine che finirà nella colonna sonora di Matrix.
LA COPERTINA DEL DISCO
Forse tra le copertine più belle dei Led Zeppelin, la cover di Physical Graffiti ha una storia più interessante del disco stesso. Opera del designer Peter Corriston la copertina ritrae la facciata di due edifici di New York, situati al numero 96 e al numero 98 della 8th Street/St. Mark’s Place, nell’East Village. La facciata anteriore della copertina è una foto di giorno delle facciate mentre quella posteriore è uno scatto notturno. In entrambi i lati le finestre del palazzo sono state ritagliate per fare posto ai volti di alcuni personaggi iconici del tempo: l’assassino di JFK Lee Harvey Oswald, Neil Armstrong, Elizabeth Taylor nei panni di Cleopatra, King Kong, un’immancabile Vergine Maria, Judy Garland e il cast del Mago di Oz, gli stessi Led Zeppelin e il loro manager Peter Grant, il body builder Charles Atlas, la Regina e Laurel & Hardy. Come racconta Simon Gardiner però l’idea per la copertina non è così originale (ancora una volta il solito problema dei Led Zeppelin) ed è chiaramente ispirata alla cover di un disco di Jose Feliciano del 1973: Compartments.
Per chi non fosse in grado di andare a New York a visitare la versione fisica della copertina di Physical Graffiti per i quarant’anni dall’uscita del disco ecco come si presentano oggi le due facciate degli edifici viste tramite Street View: