La lettera di Denis Verdini a Repubblica

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-10-28

Ieri in un articolo veniva definito “il mefistofele del potere”. Lui replica: “Un indubbio avanzamento”

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Denis Verdini ha inviato una lettera a Repubblica per rispondere all’articolo di Filippo Ceccarelli di ieri che lo definiva “Il mefistofele del potere”:

CARO direttore, le chiedo ospitalità dopo che con un bel titolo il suo giornale mi ha definito come il Mefistofele del potere. Intendiamoci: non protesto né smentisco perché, vista la rappresentazione che si fa ogni giorno di me — una sorta di Malacoda della politica — trovarmi a vestire i panni di Mefistofele, il simbolo della lotta tra Dio e il demonio e della battaglia dei vizi e delle virtù rappresenta un indubbio avanzamento. Mi chiedo però, io che ho la pellaccia dura che finora ha retto ogni colpo, cosa sia oggi la politica nell’immaginario collettivo.
Una consorteria di lestofanti che nascondono i loro interessi dietro una falsa vetrina di intenzioni virtuose. Così come, di riflesso, le istituzioni finiscono per incarnare la decadenza dei costumi dietro la maschera paludata del bene pubblico. Ma non tutto è marcio in questa Danimarca. Lasciatelo dire a mister Wolf, al facilitatore, al politicante delle porte girevoli. E anche al Mefistofele perseguitato dalla leggenda del beccaio, termine un po’ truce che significa macellaio o boia oppure chirurgo. O, evidentemente, Verdini!

verdini mefistofele

Caro direttore, nonostante questo l’articolo di Filippo Ceccarelli mi ha sinceramente lusingato, perché, partendo da me è salito fino a Hobbes, a Guicciardini e poi al sommo Dante, alla Divina Commedia, omettendo però di svelare in quale Cantica dovrei comparire. Arrivando da Firenze, la città che spande il maledetto fiore, penso che il mio posto lo immagini direttamente all’Inferno, e non eccepisco. Anzi.
Di me si può dire e si è detto di tutto: che sono abile nell’arte del calcolo (ma non dell’indifferenza), e che il fine giustifica i mezzi. Tutto vero: ma non fino a teorizzare che per il mio tornaconto potrei votare sia lo Ius soli che la tratta degli schiavi. No, questo mai, perché anche la politica deve avere un’anima. Insomma: io potrei finire in ogni girone infernale, scegliete voi, in tutti meno che nella bolgia degli ipocriti. O meglio: in quella bolgia ci sono stato giovedì, a Palazzo Madama, e lì ho detto con franchezza la mia su cos’è stata questa legislatura dei compromessi e delle mezze verità. Quel giovedì, poi, sarebbe diventato il giovedì Grasso di fine ottobre.

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