La Ditta, la scissione e il ritorno all'Ulivo

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-04-29

Dopo la mossa del premier il PD si spacca e c’è chi torna a evocare l’addio al partito del premier. Ma l’opposizione interna è spaccata, e la Ditta è fallita. Se ne faranno una ragione?

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L’Italicum e la fiducia messa dal governo Renzi ieri spiazza il fronte interno al Partito Democratico, che torna a pensare all’ipotesi di una scissione e a un ritorno all’Ulivo contro il presidente del Consiglio. L’elenco dei dissidenti è corposo, lo riporta oggi Giovanna Casadio su Repubblica: «Un ex premier, Enrico Letta. Due ex segretari del Pd, Pierluigi Bersani e Guglielmo Epifani. Una ex presidente del partito, Rosy Bindi. Il capogruppo dimissionario, RobertoSperanza. I due sfidanti di Renzi alle ultime primarie, Gianni Cuperlo e Pippo Civati. E poi Alfredo D’Attorre, Stefano Fassina, Danilo Leva, Andrea Giorgis, Marco Meloni… E l’elenco dei dissidenti dem che non voteranno la fiducia a Renzi è destinato a allungarsi. Lo “strappo” non poteva essere più netto. L’ombra della scissione si allunga. La tentazione di gruppi parlamentari autonomi e soprattutto il progetto di un nuovo Ulivo, sembra dietro l’angolo. L’Ulivo di Prodi, Letta,Bindi, Cuperlo e che potrebbe reclutare anche D’Alema».
 
LA DITTA, LA SCISSIONE E IL RITORNO ALL’ULIVO
Se l’Italicum non passa il governo va a casa, ribadisce il premier Matteo Renzi in una lunga lettera alla Stampa, in prima pagina sul quotidiano torinese, in cui si dice pronto a discutere sul Senato, ma adesso basta con la melina. E rimarca che se la legge elettorale viene approvata vuol dire che il Parlamento vuole continuare le riforme: un metodo abbastanza scoperto per dichiarare guerra a chi te la sta facendo, e anche per costringere l’opposizione interna a uscire allo scoperto. E infatti mai un ex premier, un ex segretario, un ex presidente dei deputati e un ex presidente del partito si erano ribellati tutti insieme al proprio leader. Con un occhio alla possibile scissione:

Bindi prende la parola in aula, illustrando tenacemente i suoi emendamenti, e lancia il j’accuse: «Negherò fiducia ad un atto improprio del governo. Se non avesse messo la fiducia, non avrei partecipato al voto finale del provvedimento. Ma ora non si può non prendere in considerazione un voto contro una legge resa immodificabile. La fiducia è una prepotenza frutto della paura non del coraggio». Civati ironizza: «Se prima eravamo in quattro… sono colpito che siano così tanti e così autorevoli gli esponenti del Pd che si dissociano dalla decisione della fiducia». L’assemblea serale di “Area riformista” è una resa dei conti interna. Esplodono malumori.
C’è chi accusa Speranza di avere lasciatola corrente senza guida, allo sbando, assumendo una posizione estrema. I “moderati” Enzo Amendola, Cesare Damiano, Luciano Pizzetti, la fiducia la voteranno. Il pressing dei renziani continua richiamando alla lealtà al partito, al gruppo, al governo. Il sottosegretario Pizzetti invita a non buttare alle ortiche la corrente e il ruolo che ha svolto finora: «La fiducia sulla legge elettorale non è un dono di Dio, ma neppure l’anticamera dell’inferno».
Giorgis ribadisce che «la fiducia è sul provvedimento e non sul governo» ed è stata un errore. La tensione è altissima. La spaccatura dei bersaniani è una vera e propria frammentazione.Il portavoce della corrente Matteo Mauri si dissocia da Speranza: «È stato un errore la scelta di Roberto di dimettersi da capogruppo. E’ stato un errore ancora più grave il suo annuncio di non volere votare la fiducia, fatto in completa solitudine. Una scelta che ha sorpreso tutti». E l’ex capogruppo precisa e giustifica: «La mia decisione è una scelta politica personale che non impegna “Area riformista”, non chiedo a nessuno di seguirmi. Non potevo stare a fare la foglia di fico come capogruppo». La corrente ,che ha fatto spesso da “pontiere” tra renziani e sinistra, è in impasse. I toni si alzano, a seguire Speranza dovrebbero essere 20-25. Sinistra dem, cioè i cuperliani, si riuniranno anche stamani. Sul voto finale al provvedimento, che sarà a scrutinio segreto, i dissidenti potrebbero essere ancora di più. Fassina è per un secco“no” e denuncia la dignità calpestata del Pd. «La scissione? Non votare la fiducia al governo lascia i segni».

Eppure per Renzi mettere la fiducia sulla legge elettorale è un gesto di serietà verso i cittadini. Il premier scrivendo alla Stampa difende la decisione sull’ Italicum. “Dopo aver fatto modifiche, mediato, discusso, concertato, o si decide o si ritorna al punto di partenza. Se un Parlamento decide, se un governo decide, questa è democrazia, non dittatura”.

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Italicum, i numeri alla Camera (Corriere della Sera, 27 aprile 2015)

MUSSOLINI E BERSANI
Ma la tentazione della scissione sembra essere respinta da Bersani, che in un’intervista al Corriere della Sera torna a dire che la Ditta è fallita:

Il premier le ha dato una bella sberla mettendo la fiducia.
«Ma io, se serve, di sberle ne prendo quante volete. Il problema non è Bersani, è l’Italia».
Col voto contrario di una parte della minoranza sarà la fine della ditta?
«Non è più la ditta che ho costruito io. Questa è un’altra cosa, un altro partito».
Ma lei ci può stare in un partito così? O pensa alla scissione?
«Ma dove posso andare… Sa come diceva Dante Alighieri? Se io vo, chi rimane? Se io rimango,chi va? (Trattatello in laude di Dante di Giovanni Boccaccio, ndr).
Crede davvero che l’Italicum sia la peggiore delle leggi possibili?
«Con questa legge qua la demagogiava in carrozza. Ma lei se lo immagina cosa diventerann ole prossime elezioni? Sarà il festival della demagogia».
Esagera, onorevole.
«No, saranno una gara a chi la racconta più grossa».
Qual è la cosa che le ha fatto più male?
«La fiducia su una questione così importante per la democrazia. Io lo sapevo fin dall’inizio che finiva così. Com’era quel titolo del Corriere?».
«Bersani pronto a uscire dall’Aula per non dover votare sul governo». Abbiamo sbagliato?
«Direi proprio di no».

 

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