La Corte Costituzionale difende il diritto allo studio dei disabili dall'austerity

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-12-22

L’esercizio dei diritti fondamentali della persona non può essere subordinato alle logiche di finanza pubblica e al raggiungimento del pareggio di bilancio. Non si può tagliare un servizio fondamentale solo perché costa perché così facendo si ledono i diritti dell’individuo sanciti dalla Costituzione

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«È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» così la Corte Costituzionale con la sentenza Sentenza 275/2016 riguardante una legge regionale della Regione Abruzzo si schiera a fianco dei diritti dei disabili contro le politiche di austerity. Tutto è iniziato con la decisione della Provincia di Pescara di sollevare dinnanzi al TAR la questione posta da una modifica ad una legge regionale del 1978 (nr. 78 del 15 dicembre 1978) che prevedeva il finanziamento a carico della Regione del 50% delle spese di trasporto degli alunni disabili (il restante 50% invece spettava alla Provincia) in modo da garantire loro il diritto allo studio.
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Cosa è scritto nella sentenza della Corte Costituzionale sul diritto allo studio dei disabili

Nel 2004 però a regolare i bilanci degli enti locali interviene il patto di stabilità, e così la Regione modifica quell’articolo di legge precisando chela Giunta regionale garantisce un contributo del 50% della spesa necessaria e documentata dalle Province solo “nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa”. Il che come è facile intuire significa una sola cosa: se non ci sono i soldi la Regione non erogherà la quota parte del finanziamento che le spetta. Il Tribunale amministrativo regionale, ravvisando un profilo di incostituzionalità nella legge regionale ha quindi deciso di sottoporre la questione ai giudici della Consulta. Nella sentenza, depositata il 16 dicembre, la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2-bis, della legge della Regione Abruzzo 15 dicembre 1978, n. 78 dando così ragione alla Provincia di Pescara. A guidare il giudizio della Consulta è fondamentalmente l’Articolo 38 della Costituzione italiana nella parte dove la carta costituzionale sancisce il diritto allo studio delle persone affette da disabilità: “gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale” e prevede che ad adempiere a tali compiti “provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato“. La Corte infatti scrive:

Il diritto all’istruzione del disabile è consacrato nell’art. 38 Cost., e spetta al legislatore predisporre gli strumenti idonei alla realizzazione ed attuazione di esso, affinché la sua affermazione non si traduca in una mera previsione programmatica, ma venga riempita di contenuto concreto e reale.

In buona sostanza quindi la Costituzione non deve rimanere lettera morta e pertanto il legislatore si deve impegnare tradurre in un impegno concreto e reale atto alla realizzazione dei principi sanciti dalla Costituzione. Nella seconda considerazione della sentenza la Consulta spiega che il fatto di condizionare l’erogazione del finanziamento regionale di volta in volta secondo le determinazioni della legge di bilancio trasformi l’onere della Regione in una posta “aleatoria e incerta” con il rischio di comprimere in modo illegittimo il diritto allo studio del disabile.

Il giudice a quo ritiene che il condizionamento dell’erogazione del contributo alle disponibilità finanziarie, di volta in volta determinate dalla legge di bilancio, trasformi l’onere della Regione in una posta aleatoria e incerta, totalmente rimessa alle scelte finanziarie dell’ente, con il rischio che esse divengano arbitrarie, in difetto di limiti predeterminati dalla legge, risolvendosi nella illegittima compressione del diritto allo studio del disabile, la cui effettività non potrebbe essere finanziariamente condizionata.

I diritti quindi non possono essere subordinati alle logiche delle leggi di bilancio, prosegue la Corte spiegando che è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione. Il che significa che l’equilibrio finanziario non può compromettere l’esercizio di un diritto fondamentale solo perché il godimento di questo diritto rappresenta un costo per la collettività. I diritti non si possono adeguare alle leggi di bilancio ma sono queste ultime che si devono adeguare ai diritti, 

In definitiva, nella materia finanziaria non esiste «un limite assoluto alla cognizione del giudice di costituzionalità delle leggi». Al contrario, ritenere che il sindacato sulla materia sia riconosciuto in Costituzione «non può avere altro significato che affermare che esso rientra nella tavola complessiva dei valori costituzionali», cosicché «non si può ipotizzare che la legge di approvazione del bilancio o qualsiasi altra legge incidente sulla stessa costituiscano una zona franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di costituzionalità, dal momento che non vi può essere alcun valore costituzionale la cui attuazione possa essere ritenuta esente dalla inviolabile garanzia rappresentata dal giudizio di legittimità costituzionale» (sentenza n. 260 del 1990). Sul punto è opportuno anche ricordare «come sul tema della condizione giuridica del portatore di handicaps confluiscono un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale; e che, conseguentemente, il canone ermeneutico da impiegare in siffatta materia è essenzialmente dato dall’interrelazione e integrazione tra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela»

L’articolo 81 della Costituzione (introdotto dal Governo Monti in ossequio ai parametri europei del Fiscal Compact) che dispone l’obbligo di pareggio di bilancio  ha quindi un valore subordinato rispetto a quanto stabilito dalla prima parte della Costituzione. Di conseguenza se ne potrebbe derivare l’interpretazione – tale perché la Corte non lo dice esplicitamente – che quella operata dalla Commissione Europea, che ha deciso di anteporre alle leggi fondamentali i trattati stipulati in sede europea dai governi degli stati membri (come è il caso dell’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione) sia una forzatura di quanto sancito dalla nostra Costituzione.
 

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