Gli italiani visti dagli inglesi? Non è un bello spettacolo

di Elsa Stella

Pubblicato il 2015-02-01

Siamo un paese in cui imperano la furbizia e le convenzioni sociali, alla faccia della sostanza e dell’etica. Lo scrive il Guardian

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Ma come è possibile che il paese che ha prodotto Berlusconi, il bunga bunga, la mafia e una burocrazia pletorica sia ancora tanto affascinante? Se lo chiede il Guardian, che segnala il libro del proprio corrispondente da Roma John Hooper  The Italians.

Il libro di John Hooper
Il libro di John Hooper, corrispondente del Guardian in Italia

GLI ITALIANI VISTI DAGLI INGLESI
Hooper, che ci va giù duro con i nostri difetti nazionali, e non ce ne fa passare una (perché mai nei ristoranti di Roma gli gnocchi si trovano solo il giovedì?, lamenta), scandisce la sua analisi per temi salienti – sistema giudiziario, territorio e clima, amore, sesso, famiglia, religione – ma individua in tutto un carattere unificante che per lui è la diffidenza: gli italiani non si fidano di nessuno, assicura, e certamente non hanno fiducia nelle istituzioni nazionali che si ritrovano. E dire che, curiosamente, sono esterofili, e in generale amano tutto quello che è britannico, spesso non conoscendolo. Il giornalista riferisce che Vodafone Italia fa affari d’oro con un servizio denominato Alter Ego, che permette al cliente di avere due numeri di cellulare su una stessa sim card: uno per la moglie uno per l’amante, è ovvio, e si badi che il servizio è disponibile solo da noi. Copiare agli esami è una pratica generalizzata, vista da un lato come inevitabile e dall’altro come lodevole. Non c’è da stupirsi, osserva John, che vengano pizzicati a copiare anche i candidati al concorso per insegnanti. E lo stesso presidente di Confindustria, che all’epoca era Montezemolo, confidava agli studenti si essere stato un campione di copiatura, ai suoi tempi.
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VIZI, RACCOMANDAZIONI E AIUTINI
Quelli che altrove sarebbero considerati vizi, insomma, in Italia diventano virtù, come la raccomandazione e l’”aiutino”; perché da noi impera il concetto di furbizia, che premia ovunque, dalla fila alle poste alle controversie sul luogo di lavoro. Si sa, peraltro, che se non fai il furbo sei fesso, i proverbi che circolano da noi lo predicano in tutti i dialetti. Ma quello che più colpisce il giornalista straniero è la nostra applicazione nel’arte della dissimulazione: siamo bravissimi a celare il nostro pensiero e i nostri intenti, gestiamo ogni relazione personale come una transazione di affari, non abbassiamo mai la guardia, insomma, siamo gente malfida. E a dispetto della concezione diffusa che ci vede come un popolo di gaudenti, cantanti e epicurei, secondo Hooper siamo fondamentalmente frugali e moderati: per esempio, balliamo molto meno degli altri popoli mediterranei, e di rado capita di vederci ubriachi; in italiano, si stupisce il nostro osservatore, non esiste nemmeno una parola per dire hangover, quello stato di devastazione psicofisica in cui ci si sveglia dopo una sbornia che gli inglesi conoscono molto bene, visto che lo affrontano ogni fine settimana (e anche più spesso).
 
LA GIUSTIZIA
Diffidenza e sfiducia caratterizzano anche il rapporto con la giustizia: da noi la verità è un concetto del tutto relativo, ce ne sono almeno due, la tua e quella del tuo avversario, e lo dimostra il fatto (che stupisce il giornalista inglese) che una volta che un lungo e laborioso processo si conclude si ha diritto a due appelli, che si possono risolvere in una “condanna definitiva” (ma condanna non bastava?, si chiede John) o in una assoluzione. In media per una sentenza ci vogliono più di otto anni, a volte 15: nessuno ne esce soddisfatto, l’unico conforto per gli sconfitti è ipotizzare fosche cospirazioni, per lo più di carattere politico e familistico. Eppure “questi italiani che non rispettano le leggi si adeguano con rigidità monolitica alle convenzioni”, rispettano le forme e lasciano correre sulla sostanza: l’importante per loro è il decoro esteriore, oggi come centocinquanta anni fa. Alla faccia dell’innovazione, della ricerca, del mondo che cambia: un paese vecchio, insomma.
 

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