«L'età della pensione va alzata, basta mentire al paese»

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-11-06

Elsa Fornero su Repubblica dice la sua sulla pensione a 67 anni e sulle mosse del governo

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Mentre il governo lavora sulla pensione a 67 anni e sulle categorie da escludere dall’innalzamento e sembra tramontata l’ipotesi di un rinvio di sei mesi per l’adeguamento, Elsa Fornero, madre della riforma all’epoca del governo Monti, in un’intervista a Repubblica firmata da Roberto Mania esorta la politica a non essere vigliacca e a non cercare di ingannare i cittadini:

Hanno fatto bene il premier Gentiloni e il ministro Padoan a impedire il blocco dell’aumento dell’età pensionabile dopo che l’Istat ha certificato l’incremento della speranza di vita di cinque mesi?
«Direi proprio di sì perché è una scelta che risponde a un’esigenza di medio periodo nell’interesse generale e non, appunto, elettorale. Si è evitato di scaricare sui giovani il costo di un’operazione che avvantaggerebbe solo le generazioni più mature».
L’obiezione che viene fatta a questo ragionamento, così come alla sua legge che portò bruscamente a 65 anni l’età per la pensione, è che lasciando i più anziani al lavoro non si liberano i posti per i giovani.
«Questo è un luogo comune, frutto di un’interpretazione eccessivamente rigida sul funzionamento di un’economia e del suo mercato del lavoro. Sottende l’idea che ci sia una quantità fissa di posti di lavoro. È lo stesso ragionamento che negli anni è stato adottato nei confronti delle donne al lavoro e si è visto che non è così. Statisticamente è dimostrato che i Paesi che hanno avuto anche durante la crisi un basso tasso di disoccupazione giovanile sono quelli che hanno un alto tasso di occupazione tra i lavoratori più anziani. Vale per la Germania, per i Paesi scandinavi, per l’Olanda. Il ragionamento va capovolto: vanno create le occasioni di lavoro, anche attraverso le politiche attive per il lavoro rispetto alle quali siamo a dir poco impreparati, e non pensare che al lavoro si acceda cacciando qualcun altro».

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Ma perché bisogna continuare ad alzare l’età quando un sistema pensionistico contributivo presuppone flessibilità in uscita con penalizzazioni sull’assegno a carico di chi lascia prima il lavoro?
«Solo dal 2012 tutte le pensioni sono pro rata calcolate con il metodo contributivo. Ci vorrà ancora una ventina d’anni perché le pensioni siano interamente contributive. Da allora in poi potranno scattare i meccanismi di flessibilità». Poiché non è uguale lavorare fino a 67 anni quando si fa il facchino o l’impiegato si sta pensando di allargare le maglie dell’anticipo pensionistico sociale. Come considera questa ipotesi? «Mi pare la strada giusta. Osservo che il governo Monti dovette realizzare la riforma in venti giorni mentre sono passati più di cinque anni senza che sia stato introdotto questo giusto correttivo. Dunque penso che sia una buona innovazione che può permettere a categorie sfortunate di non subire l’effetto dell’indicizzazione senza mettere a repentaglio la sostenibilità del sistema previdenziale. È un intervento sociale che per la prima volta realizza la separazione tra assistenza e previdenza».

Leggi sull’argomento: Il governo conferma l’aumento a 67 anni dell’età della pensione

 

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