Fatti
Quei superficiali luoghi comuni sul revenge porn nella trasmissione di Facchinetti su Radio105
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2022-01-26
Nella trasmissione condotta da Facchinetti con Gibba e Sabrina Scampini si è parlato del caso Diana Di Meo. E l’esordio è stato condito da una dialettica che rischia di spostare il mirino dal carnefice alla vittima
Quando si parla di violenze sessuali e revenge porn è sempre molto facile cadere in quei classici luoghi comuni tipici delle chiacchiere da bar. Pensieri e parole che, se pronunciate con ingenuità e superficialità, rischiano di spostare il mirino dal carnefice alla vittima. Occorre, dunque, utilizzare concetti non astratti e concreti per parlare di determinati argomenti. Ma tutto ciò non è avvenuto, almeno nelle fasi iniziali delle trasmissione, durante la puntata di 105 Kaos andata in onda lunedì 24 gennaio durante la quale si è parlato del caso Diana di Meo.
Diana di Meo, i luoghi comuni sul revenge porn nel programma di Facchinetti
Riavvolgiamo un attimo il nastro. Diana di Meo è un’arbitra che ha denunciato sui social la presenza di alcuni video-intimi pubblicati online. A condividerli (su una chat Telegram) sarebbe stato anche l’ex fidanzato della 22enne, direttrice di gara della sezione di Pescara. E la sua denuncia pubblica, come dichiarato in più occasioni, è servita a dare coraggio a tutte le altre donne e ragazze vittime di revenge porn, un reato (perché di questo stiamo parlando) sempre più frequente in Italia. Soprattutto tra i più giovani.
“Io sono qui a parlarne, molti di noi non riescono a farlo e si nascondono. Spero di dare voce a tutte quelle vittime che vengono colpevolizzate, quando in realtà il colpevole è dall’altra parte dello schermo, che riprende o ‘si limita’ a condividere”.
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Perché il Revenge Porn è un’abuso. La condivisione di immagini e video intimi di un’altra persona – qualunque sia il rapporto e il legame – è un reato punito dalla legge italiana. Ed è questo quel che Diana di Meo ha voluto denunciare. E ha spostato l’obiettivo su un concetto molto chiaro e attuale: spesso si tende a colpevolizzare la vittima e il carnefice. Ed è la stessa sensazione che si è palesata nel corso dei minuti iniziale della puntata di 105 Kaos di lunedì 24 gennaio. La trasmissione condotta da Francesco Facchinetti, infatti, si è concentrata proprio su questo caso di Revenge Porn. E i primi 8 minuti sono stati conditi da tutti quei luoghi comuni che andrebbero evitati.
I tre errori più grandi
Otto minuti per tre luoghi comuni. Nel rimbalzo di interventi tra Francesco Facchinetti, Gibba e Sabrina Scampini (che ha provato a tenere ben salde le redini dei discorsi che, però, sono andati persi) sono emersi tre pensieri superficiali: lei, Diana di Meo (ma il discorso era esteso un po’ a tutti e tutte) è “complice” per aver inviato quei video al suo ex fidanzato o aver detto sì alle registrazioni di quei momenti intimi; lei, sempre l’arbitra di Pescara, ha un profilo social “aggressivo e accattivante” (sì, sono stati utilizzati questi due aggettivi); chiediamo alla gente cosa ne pensa e chi, tra vittima e carnefice, abbia maggiori responsabilità nei casi di Revenge Porn. Tre luoghi comuni da abbattere e che invece sono stati riproposti con quel sottofondo di superficialità che rischia, come è accaduto ascoltando le risposte di alcuni radio-ascoltatori, di colpevolizzare la vittima e non chi ha condiviso e disperso nell’etere del web quei filmato e quei contenuti privati e personali.
E dopo la superficialità, ecco che a prendere la parola è stata la stessa Diana di Meo, intervenuta proprio durante 105 Kaos. La giovane donna abruzzese ha raccontato di come alcune immagini e alcuni filmati fossero presenti solamente sul suo cloud che è stato hackerato. Poi c’è il capitolo ex fidanzato: secondo l’arbitra, dopo che le prime foto sono iniziate a circolare nelle chat, il suo ex avrebbe messo in circolazione anche un altro video. Una registrazione di un momento intimo immortalato a sua insaputa. Un tipico caso di Revenge Porn che non può essere analizzato superficialmente e, soprattutto, non può vedere la vittima sacrificata sull’altare del carnefice.