Opinioni

Deficit al 2,4%: la scommessa più stupida è quella che non si può vincere

di Elio Truzzolillo

Pubblicato il 2018-09-28

Molti cercheranno di vendervi la decisione di programmare un deficit del 2,4% per il 2019 come una grande scommessa: sfidare i vincoli europei per ottenere maggior crescita, crescita che permetterà di “ripagare” il debito aggiuntivo causato dal deficit stesso. Purtroppo i presupposti di questa scommessa sono sbagliati. 1. Non è la UE la controparte che […]

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Molti cercheranno di vendervi la decisione di programmare un deficit del 2,4% per il 2019 come una grande scommessa: sfidare i vincoli europei per ottenere maggior crescita, crescita che permetterà di “ripagare” il debito aggiuntivo causato dal deficit stesso. Purtroppo i presupposti di questa scommessa sono sbagliati.

1. Non è la UE la controparte che stiamo sfidando, in quanto non è dalla UE che verranno i principali problemi.

2. Il maggior deficit non ha realisticamente delle possibilità di “ripagarsi” da solo.

Cominciamo dal primo presupposto, non sono i vincoli europei il reale problema. Non è questa la sede per approfondire la procedura di deficit eccessivo, ma basterà ricordare che nonostante le ripetute violazioni del Patto di Stabilità (e degli accordi che lo hanno integrato), nessuno stato europeo ha mai effettivamente pagato una multa. L’iter del procedimento è lungo e le negoziazioni tra la UE e lo stato che subisce la procedura sono improntate più alla realpolitik che al rigido rispetto delle norme. In ogni caso la sanzione non consiste nell’occupazione con i carri armati da parte di altri stati, ma in una multa di entità contenuta. Potremmo dire che si tratta più di un meccanismo di forte moral suasion che di sanzioni rapide, gravose e senza appello. Quanto scritto ovviamente vale a patto che non si persegua preordinatamente una rottura totale. Allora qual è il vero vincolo? Il vincolo è, per esempio, la Norvegia, che esisterebbe anche se non ci fosse la UE. Scriviamo la Norvegia perché se scrivessimo i mercati il lettore farebbe sicuramente una smorfia disgustata. Nei mercati operano un gran numero di operatori che prestano i loro soldi e che legittimamente li rivogliono indietro. Tra questi operatori troviamo il Fondo Sovrano Norvegese che eroga le pensioni ai norvegesi. Se sussistono dubbi sulla capacità dell’Italia di onorare i suoi debiti, il Fondo Sovrano Norvegese, per tutelare le pensioni dei norvegesi, non comprerà più titoli di stato italiani (ma anche azioni o obbligazioni di imprese private) e cercherà di liberarsi di quelli che ha. Farà questo non per antipatia verso l’Italia, ma solo per il bene dei norvegesi. Lo stesso farà una Banca Canadese che raccoglie i risparmi dei cittadini canadesi o un qualunque fondo che deve tutelare gli investimenti dei suoi risparmiatori (magari lo stesso fondo che su cui voi contate per la vostra pensione integrativa). I mercati, quindi, non sono costituiti da quattro ricchissimi finanzieri senza scrupoli che si arricchiscono a spese della povera gente, ma da milioni di persone che investono, direttamente o indirettamente, i loro risparmi. Ricordate la crisi dello spread del 2011? La paura maggiore era per una possibile piccola multa della UE o i problemi erano altri? Per questo ogni volta che qualcuno descrive il problema dei vincoli di bilancio come una questione di rispetto formale degli accordi europei vi sta mentendo.

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Passiamo al secondo presupposto. Il discorso è complesso e non si può affrontare in un modo che sia semplice e rigoroso in un breve scritto. In ogni caso è empiricamente dimostrato che in congiunture economiche “normali”, cioè quella in cui ci troviamo adesso, il maggior deficit si traduce in una crescita economica che non “compensa” la spesa sostenuta. Tecnicamente si dice che il moltiplicatore della spesa pubblica è minore di 1. Più complesso è il caso di maggior deficit durante una recessione, caso che quindi tralasciamo. Se questo è più o meno sempre vero per gli investimenti, lo è a maggior ragione quando il maggior deficit è fatto per alimentare spesa corrente (reddito di cittadinanza, abbassamento dell’età pensionabile, ecc.). La favoletta per cui sussidiare i consumi dei cittadini generi una crescita che “compensa” il maggior deficit è, appunto, una favoletta. Una favoletta che piace tanto ai politici che hanno una giustificazione per distribuire favori all’elettorato e ai cittadini che questi favori li ricevono. Spacciare sussidi fatti a deficit (i sussidi in sé in molti casi sono doverosi sia chiaro) come misure per aumentare la crescita, è un errore che avremo modo di verificare e di pagare molto presto. Il governo sta semplicemente regalando una ciotola di riso per richiederne indietro due tra qualche tempo. D’altronde se queste politiche funzionassero coloro che ci prestano i loro soldi dovrebbero essere ben contenti che vengano attuate, in quanto aumenterebbero la sicurezza dei loro crediti, perché ciò non avviene? Inoltre, se queste politiche funzionassero, tutti gli stati che non crescono a sufficienza e che non sono soggetti ai vincoli UE, sarebbero impegnati in una specie di gara per avere un deficit a due cifre per crescere più velocemente dei concorrenti.

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La scommessa che è stata fatta ieri è quindi una scommessa sicuramente perdente. Quanto ci costerà è impossibile saperlo, ma è sicuramente perdente. Cosa avremmo dovuto fare allora? Semplicemente saremmo dovuti uscire da quella trappola psicologica per cui l’unica via per crescere è aumentare il deficit. La crescita dipende in ultima istanza dall’aumento della produttività. La produttività si aumenta con una burocrazia più snella ed efficiente, favorendo la concorrenza tra le imprese invece di foraggiare piccole rendite di posizione, implementando nuove tecnologie invece di rifugiarsi nella retorica della micro impresa famigliare e delle vecchie tradizioni, velocizzando la giustizia, attraendo capitali esteri (anche delle cattivissime multinazionali), riordinando scuola e università avendo come priorità la preparazione degli studenti e non chi ci lavora all’interno, tutelando il lavoro e non i posti di lavoro nelle imprese decotte, investendo nelle infrastrutture (specialmente quelle digitali), favorendo la ricerca, ecc. ecc.. Tutto sommato nulla che non sia stato già detto. In altre parole bisogna scommettere contro l’impopolarità che certe misure possono incontrare nei piccoli e grandi corporativismi italiani, ma almeno questa sarebbe una scommessa che ha delle possibilità di vittoria.

Leggi sull’argomento: Manovra del Popolo: cosa succede con il deficit al 2,4%

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