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Cosa prevede la legge sulla parità salariale tra uomo e donna approvata alla Camera

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2021-10-13

La norma è stata votata dall’intero arco Parlamentare e ora si attende il passaggio al Senato

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Tutti i partiti, almeno questa volta, hanno votato uniti in favore di una nuova normativa: quella sulla parità salariale tra uomo e donna nel mondo del lavoro. Questa mattina la Camera dei deputati a votato all’unanimità il disegno di legge che – quando supererà anche l’esame del Senato – andrà a integrare il codice delle Pari Opportunità. Dalla Lega al Pd, da Fratelli d’Italia al MoVimento 5 Stelle passando per tutto l’intero arco parlamentare tra gli scranni di Montecitorio. Tutti hanno detto sì a questa iniziativa che potrebbe (il condizionale è d’obbligo) garantire non solo un accesso equo al mondo del lavoro, ma anche un compenso paritetico tra i generi.

Parità salariale tra uomo e donna, cosa prevede la legge approvata alla Camera

Il disegno di legge approvato alla Camera ha come obiettivo finale quello di modificare alcuni passaggi degli articoli 25 e 46 (e dei relativi commi) del codice delle Pari Opportunità, entrato in Gazzetta Ufficiale il 31 maggio del 2006. Al momento, in attesa del voto del Senato, questi articoli recitano:

Ed è qui che si vanno a inserire alcune nuove modifiche contenute all’interno del testo approvato lo scorso 23 giugno dalla Commissione Lavoro alla Camera.

All’articolo 25 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 2, dopo le parole: «o un comportamento», sono inserite le seguenti: «compresi quelli di natura organizzativa e oraria, »; b) il comma 2-bis è sostituito dal seguente: «2-bis. Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni: a) posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori; b) limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali; c) limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera.

Per quanto riguarda il secondo articolo in esame, e oggetto di modifiche, questo è quanto previsto, votato e approvato dalla Camera:

All’articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, le parole « oltre cento dipendenti » sono sostituite dalle seguenti: « oltre cinquanta dipendenti » e la parola « almeno » è soppressa; b) il comma 2 è sostituito dal seguente: «Il rapporto di cui al comma 1 è redatto in modalità esclusivamente telematica, attraverso la compilazione di un modello pubblicato nel sito internet istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali. La consigliera e il consigliere regionale di parità, che accedono attraverso identificativo univoco ai dati contenuti nei rapporti trasmessi dalle aziende aventi sede legale nel territorio di competenza, elaborano i relativi risultati trasmettendoli alle sedi territoriali dell’Ispettorato nazionale del lavoro, alla consigliera o al consigliere nazionale di parità, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri e al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali pubblica, in un’apposita sezione del proprio sito inter- net istituzionale, l’elenco delle aziende che hanno trasmesso il rapporto e l’elenco di quelle che non lo hanno trasmesso»; c) il comma 3 è sostituito dal seguente: «Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto, definisce, ai fini della redazione del rapporto di cui al comma 1: a) le indicazioni per la redazione del rapporto, comprendenti il numero dei lavoratori occupati di sesso femminile e di sesso maschile, il numero degli eventuali lavoratori di sesso femminile e maschile assunti nel corso dell’anno, le differenze tra le retribuzioni iniziali dei lavoratori di ciascun sesso, l’inquadramento contrattuale e la funzione svolta da ciascun lavoratore occupato, anche con riferimento alla distribuzione fra i lavoratori dei contratti a tempo pieno e a tempo parziale, l’importo della retribuzione complessiva corrisposta, delle componenti accessorie del salario, delle indennità, anche collegate al risultato, dei bonus e di ogni altro beneficio in natura ovvero di qualsiasi altra erogazione che abbia eventualmente riconosciuto a ciascun lavoratore. I dati di cui al presente comma non devono indicare l’identità del lavoratore, del quale deve essere specificato solo il sesso. I medesimi dati, sempre specificando il sesso dei lavoratori, possono altresì essere raggruppati per aree omogenee; b) le modalità di accesso al rapporto da parte dei dipendenti e delle rappresentanze sindacali dell’azienda interessata, nel rispetto della tutela dei dati personali, al fine di usufruire della tutela giudiziaria ai sensi del presente decreto; c) i parametri minimi di rispetto delle pari opportunità, con particolare riferimento alla retribuzione corrisposta e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; d) la certificazione di pari opportunità di lavoro da attribuire alle aziende che rispettano i parametri minimi di cui alla lettera c); e) le modalità di rilascio della certificazione di pari opportunità di lavoro, tenendo conto dell’attività di controllo e verifica svolta dalle rappresentanze sindacali aziendali e dalle consigliere e dai consiglieri territoriali e regionali di parità ai sensi del comma 2, nonché le forme di pubblicità di tale certificazione». d) al comma 4, le parole «nei casi più gravi può essere disposta» sono sostituite dalle seguenti: «qualora l’inottemperanza si protragga per oltre dodici mesi, è disposta»; e) dopo il comma 4, è aggiunto il seguente: «4-bis. L’Ispettorato nazionale del lavoro, nell’ambito delle sue attività, verifica la veridicità dei rapporti di cui al comma 1. Nel caso di rapporto mendace si applicano le sanzioni di cui al comma 4».

Cosa cambierà, in concreto

Fino a qui, dunque, appaiono dei cambiamenti formali all’interno di una normativa già esistente. Ma la vera domanda è: cosa cambia davvero e come si può arrivare a una parità salariale? Come si evince dalla descrizione delle modifiche, il disegno di legge punta tutto sull’equiparazione attraverso una normativa che, però, non contiene degli obblighi stingenti e dei paletti. Per convincere le aziende a colmare il gender gap, infatti, ci sono degli “espedienti” di tipo economico:

“È riconosciuto (dal 1° gennaio 2022, ndr) per ogni anno di validità della certificazione uno sgravio contributivo pari all’1 per cento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, nel limite massimo di 50 mila euro annui, riparametrato e applicato su base mensile”.

E come si arriverà a questi sgravi contributivi in favore delle aziende virtuose?

“La riduzione dello stanziamento del Fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2020-2022, nell’ambito del programma « Fondi di riserva e speciali » della missione « Fondi da ripartire » dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2022, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali”.

In sintesi: il disegno di legge appena approvato alla Camera dei deputati cerca di sensibilizzare le aziende sulla parità salariale, proponendo degli sgravi contributivi per tutte quelle che rispetteranno i parametri messi in evidenza dalle modifiche degli articolo 25 e 46 del codice della Pari Opportunità.

I dati sul gender gap in Italia

L’ultima rilevazione statistica, che fa riferimento a dati raccolti alla fine del 2020, mostra come il livello dei salari sia del tutto pendente verso i lavoratori di sesso femminile. Le donne, infatti, percepiscono circa il 12,2% in meno. E questa cifra sale addirittura al 30,6% per quelle occupazioni che richiedono un titolo di studio universitario (o superiore). La differenza, dunque, è palese e questa norma – attraverso un “gioco” di sgravi e incentivi – potrebbe spingere le aziende (in particolare quelle del settore privato) a colmare questo gender gap ed equiparare gli stipendi non in base al sesso, ma alle competenze di ogni singolo lavoratore. Ovviamente, però, la legge sulla parità salariale che dovrà essere votata in Senato, non imporrà alcun obbligo. Si tratta, dunque, di un testo che ha come obiettivo quello di sensibilizzare le imprese su questo tema. Una sensibilizzazione che risponde a crismi meramente economici.

(foto IPP /Silvia Loré)

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