La Cassazione annulla le condanne a Calderoli per aver chiamato “orango” Cecile Kyenge

di Massimiliano Cassano

Pubblicato il 2022-06-06

Per “mancato riconoscimento del legittimo impedimento dell’imputato a comparire in udienza per motivi di salute” la Cassazione ha annullato le condanne in primo e secondo grado di Roberto Calderoli, che nel 2013 chiamò “orango” la dem Cecile Kyenge

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La Cassazione ha annullato le condanne di primo e secondo grado nei confronti di Roberto Calderoli, il leghista vicepresidente del Senato che definì “orango” l’ex ministra per l’Integrazione Cecile Kyenge il 13 luglio del 2013, durante la festa della Lega Nord a Treviglio. L’accusa è diffamazione aggravata dall’odio razziale, il motivo è il mancato riconoscimento del legittimo impedimento dell’imputato a comparire in udienza per motivi di salute. L’ex ministra del Partito democratico non presentò né querela né richiesta di risarcimenti, ma il processo partì su iniziativa della Procura di Bergamo: l’intero iter ricomincerà dall’inizio, gli atti sono stati trasmessi al Tribunale di Bergamo, ma resta il nodo prescrizione, talmente vicina che i legali del vicepresidente del Senato hanno chiesto alla Suprema Corte di dichiararla.

La Cassazione annulla le condanne a Calderoli per aver chiamato “orango” Cecile Kyenge

Secondo le toghe però la sospensione del processo “per 1.071 giorni” necessaria per il richiesto intervento della Consulta non ha fatto scattare il periodo di tempo di sette anni e sei mesi dalla data del reato. Per la Cassazione durante l’udienza del 14 gennaio 2019, il Tribunale di Bergamo, nel processo di primo grado, non aveva riconosciuto il legittimo impedimento a comparire di Calderoli, impegnato in un intervento chirurgico. “I giudici di merito – si legge – senza alcun approfondimento di carattere tecnico, hanno contraddetto la valutazione di un medico (che risulta essere direttore del Dipartimento di chirurgia oncologica dell’Istituto oncologico veneto) che affermava l’indifferibilità di un delicato intervento relativo a una grave patologia”. Il Tribunale di Bergamo – prosegue la sentenza – con un “errore” non rivisto in appello “non ha spiegato in base a quali elementi era possibile sostenere che il delicato intervento potesse essere riprogrammato a distanza di uno o due giorni: affermazione che avrebbe dovuto essere supportata da dati concreti e massime di esperienza che consentivano di ritenere che il differimento fosse compatibile con i tempi necessari per gli esami preparatori, con gli impegni della equipe medica e con le ‘liste di attesa’ delle strutture sanitarie”.

La tesi difensiva del leghista al processo

La tesi difensiva dei legali di Calderoli al processo fu che “la metafora animalesca utilizzata nel corso del comizio” non può considerarsi diffamatoria “perché tali tipi di metafora, oramai da tempo entrati nel costume sociale, non più percepiti come diffamatoti, in quanto anche in ambito politico risultano piuttosto diffusi”.

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