Attilio Manca e le teorie del complotto di Ingroia

di dipocheparole

Pubblicato il 2017-08-30

Il 12 febbraio 2004 a Viterbo venne ritrovato il corpo senza vita di Attilio Manca, nato a San Donà di Piave 35 anni prima, nel suo letto di casa. Il caso fu archiviato come suicidio per overdose. I genitori però dissero che il figlio aveva curato il boss di mafia Bernardo Provenzano a Marsiglia e …

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Il 12 febbraio 2004 a Viterbo venne ritrovato il corpo senza vita di Attilio Manca, nato a San Donà di Piave 35 anni prima, nel suo letto di casa. Il caso fu archiviato come suicidio per overdose. I genitori però dissero che il figlio aveva curato il boss di mafia Bernardo Provenzano a Marsiglia e che per questo sarebbe stato ucciso. Il Tribunale di Viterbo non ha creduto a questa tesi. Antonio Ingroia, in qualità di difensore della famiglia, da molto tempo contesta questa ricostruzione. Oggi il procuratore capo di Torino Armando Spataro gli risponde con un articolo sul Fatto Quotidiano in cui lo accusa di portare avanti teorie del complotto:

Il corpo del dr. Manca venne trovato con “volto tumefatto, setto nasale deviato e due buchi nel braccio sinistro”. Si tratterebbe, afferma Ingroia, di “segni evidenti di violenta aggressione”e della prova che qualcuno iniettò forzatamente sostanze letali al Manca che, essendo mancino puro, avrebbe potuto inocularsi stupefacente solo sul braccio destro.
Dagli atti, però, risulta altro: le consulenze medico-legali attestano con certezza che Manca non subì alcuna violenza e che i predetti segni (“macchie”, non tumefazioni) derivavano dalla posizione in cui la salma fu rinvenuta, riversa sul letto con viso schiacciato sul materasso. Il naso non presentava neppure lesioni della cartilagine e il sangue presente venne qualificato “riscontro pressoché costante”nei casi di morte per assunzione di eroina.

attilio manca antonio ingroia

Quanto alla collocazione dei due buchi, alcuni testimoni consumatori di stupefacenti smentiscono le tesi del “nostro”, ricordando come il medico si iniettasse stupefacente anche con la mano destra. D’altronde, osserva il pm, Manca era chirurgo ambidestro e usava entrambi gli arti superiori per operare. Ma alcuni colleghi dell’ospedale in cui Manca lavorava –si dice – hanno dichiarato di non avere mai saputo che il dottore assumeva droghe.
Vero, ma altri tre suoi amici, con lui da anni assuntori di droga, lo hanno confermato indicando la donna che gli forniva l’eroina, cui vennero sequestrate siringhe di insulina uguali a quelle trovate a casa del Manca. Una consulenza tricologica, infine, ha consentito di affermare che l’urologo era assuntore non occasionale di eroina, “unica responsabile del fatale evento”.

Per questo il Tribunale di Viterbo, che aveva già dichiarato prescritto il reato di morte quale conseguenza non voluta della cessione di eroina volontariamente assunta dalla vittima, condannava la donna per lo spaccio ed escludeva il fondamento di qualsiasi diversa ipotesi sulle cause del decesso.

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