Abu Miau e gli altri: tutti i gattini di Bruxelles

di Gaetano Jose Gasparini

Pubblicato il 2015-11-25

Le reazioni della Génération Bataclan allo stato d’emergenza: a Bruxelles si è verificata una curiosa revisione della comunicazione fra autorità e società civile tanto nella forma quanto nel contenuto, un’intesa e un’informalità nata da un contesto estremo di stato di pericolo

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Tutto è cominciato con Abu Miau la cui foto è circolata sul web alcuni giorni dopo gli attentati di Parigi quando l’inchiesta sull’origine dei terroristi si è spostata a Bruxelles, più precisamente nel quartiere popolare di Molenbeek. Patria delle patatine fritte e del surrealismo i belgi hanno risposto allo stato di massima allerta, decretato dalle autorità il 21 novembre, con senso del grottesco. Costretti a casa dalla paralisi totale di una città in semi-coprifuoco, i brussellesi hanno invaso il web di gattini.

Abu Miau e gli altri: tutti i gattini di Bruxelles

Appena alcuni giorni dopo gli attentati del 13 di novembre un sito web belga aveva lanciato il movimento dei gattini jihadisti creando il personaggio Abu Miau, la versione felina del terrorista dal nome arabeggiante, con addosso un turbante e una cintura esposiva e presentato come “il vero istigatore degli attentati”. Una moda irriverente, quella di infilare gattini, già nota in Italia grazie ai flash mob virtuali con centinaia di foto di cuccioli postati simultaneamente sul profilo facebook di Matteo Salvini la scorsa primavera, o ancora con la pagina di dubbio gusto “Marò e gattini”. Rilanciata da un sito internet di satira simile al nostrano “Lercio” , la twittosfera e i principali social collegati a Bruxelles si sono riempiti di teneri gattini nel fine settimana del 21 novembre quando in Belgio scattava lo stato di massima allerta e nella capitale si scatenava una vera e propria caccia all’uomo, con la polizia sulle tracce di Abdessalam Salah ritenuto dagli inquirenti come l’ultimo componente del commando che ha seminato morte e terrore a Parigi venerdì 13 di novembre. Il bilancio delle operazioni a tappeto che hanno coinvolto Bruxelles nel week end successivo alle stragi francesi è di 21 fermi con decine di abitazioni perquisite. Salah resta ancora ricercato. Ferme le metropolitane, sospeso il week end, chiusi i grandi locali, i club e i ristoranti, i brussellesi hanno assecondando le richieste delle autorità a rispettare il silenzio imposto ai media, e a non divulgare informazioni in rete e sui social mentre erano in corso venti operazioni antiterrorismo in vari punti della città. Invece di descrivere ciò che vedevano dalle loro finestre, gli abitanti di Bruxelles, sotto l’hashtag #BrusselsLockdown, hanno pubblicato a raffica centinaia di immagini di gattini in tutte le salse: dal felino kamikaze al gatto Jedi, fotomontaggi accompagnati da legende caustiche.

Una curiosa revisione della comunicazione fra autorità e società civile

Una lunga catena di messaggi e foto che gettavano nel ridicolo i fondamentalisti, sdrammatizzando una situazione estrema in una città dagli infinuti “punti sensibili”, ostaggio della caccia ai jihadisti. Senza fare riferimento ai gattini, il portavoce della procura federale ha ringraziato la stampa e gli utenti dei social media per avere rispettato le disposizioni delle forze dell’ordine. Queste ultime a loro volta hanno ringraziato gli internauti twittando la foto di una ciotola per gatti, colma di crocchette, con inciso sopra il simbolo della polizia nazionale.
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A Bruxelles si è verificata una curiosa revisione della comunicazione fra autorità e società civile tanto nella forma quanto nel contenuto, un’intesa e un’informalità nata da un contesto estremo di stato di pericolo. L’indignazione per la furia jihadista ha fatto il paio con le rimostranze creative per l’inagibilità alcolica del centro storico, la forzata sobrietà del week end, la violazione della sacralità del fine settimana. Qualsiasi studente recatosi in Erasmus lo sa bene. La bevanda nazionale del paese è la birra e Bruxelles è la città dei mille “cafés”, cosmopolita e sfaccettata in essa coesistono quartieri marcatamente popolari e sobborghi residenziali.

I bar di prossimità e il coraggio di Bruxelles

Tutte le aree della metropoli belga sono multietniche. Bruxelles è una città la cui popolazione immigrata è mutata tangibilmente nel corso degli ultimi decenni. A fianco dei migranti storici (turchi, marocchini, italiani e portoghesi) si sono aggiunti i nuovi europei assorbiti nel processo di allargamento dell’Unione Europea ai paesi dell’Est. Nella capitale d’Europa si riflettono le disuguaglianze sociali interne ai paesi d’origine dei migranti. Le fratture non sono etniche o religiose ma sociali. In quartieri come Molenbeek, nel mirino degli inquirenti come centrale del radicalismo islamico, convivono vecchi e nuovi migranti: fattorini marocchini, operai portoghesi e elettricisti polacchi, una classe popolare multietnica che si è spostata nel cuore d’Europa. Non sono loro la componente distintiva della generazione Bataclan che a Bruxelles abita nei quartieri alti di Woluwe, Uccle o Stockel dove hanno sede i consolati, le ambasciate e le scuole internazionali: una diversità etnica e culturale che si inserisce alla perfezione in un contesto economico-sociale omogeneo benché cosmopolita. Una generazione istruita e internazionale che si riversa nei fine settimana nelle strade del centro storico, nel quartiere universitario o nel quadrilatero della “movida” dietro alla Borsa di Bruxelles. Sono loro i guerriglieri dei gattini. Una gioventù in tutto simile a quella del “Bataclan” eretta a emblema sociologico dopo le stragi francesi. Una generazione borghese, metropolitana e multiculturale, attiva in settori sconosciuti fino a vent’anni fa, dinamica e inserita, molto social e un po’ arrivista che prende il nome dal café concerto parigino dove hanno perso la vita un centinaio di giovani, accorsi per l’esibizione di una rock band americana. Ci sono tutti gli ingredienti per connotare questa nuova classe media globalizzata, colpita al cuore a Parigi e sotto minaccia a Bruxelles. Mezzi di trasporto fermi, uffici pubblici, scuole, università, centri commerciali e banche chiuse, strade e arterie dello shopping pedonale deserte, gli unici a rimanere aperti sono stati i café di quartiere. Luoghi semplici e un po’ anonimi in cui interrompere l’isolamento forzoso e riparare. Chi era turbato ha trovato coraggio nella sua forma liquida e effimera in questi bar di “prossimità”, con i muri ingialliti e l’odore di fritto mescolato a quello di cavolo bollito. Gli sguardi immersi nei boccali di birra, un orecchio teso alla radio, sul cellulare appare un nuovo tweet e sul volto dei brussellesi si apre un sorriso amaro: è Abu Miau che rivendica l’uccisione del cane poliziotto Diesel, realmente esistito e morto durante i blitz di Parigi.
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L’autore è nato e cresciuto a Bruxelles, specializzato all’università in discipline islamiche, redattore di un giornale locale (Note Modenesi)

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