Opinioni
«Avevamo l'ordine di convincere i clienti ad acquistare i prodotti della banca»
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2015-12-12
«Avevamo l’ordine di convincere più clienti possibili ad acquistare i prodotti della banca, settimanalmente eravamo obbligati a presentare dei report con dei budget che ogni filiale doveva raggiungere. L’ultimo della lista veniva richiamato pesantemente dal direttore»: basta leggere le prime righe della bellissima intervista di Federica Angeli a Marcello Benedetti, ex dipendente di Banca Etruria, […]
«Avevamo l’ordine di convincere più clienti possibili ad acquistare i prodotti della banca, settimanalmente eravamo obbligati a presentare dei report con dei budget che ogni filiale doveva raggiungere. L’ultimo della lista veniva richiamato pesantemente dal direttore»: basta leggere le prime righe della bellissima intervista di Federica Angeli a Marcello Benedetti, ex dipendente di Banca Etruria, per capire di chi sia la responsabilità dei risparmi andati in fumo nella vicenda delle quattro banche risolte dal governo.
Una storia che conosciamo bene, visto che è sempre la stessa: anche all’epoca di Cirio e Parmalat c’erano clienti che raccontavano le stesse cose, dipendenti che si giustificavano così e responsabili che non hanno mai pagato. E ci potete scommettere: finirà così anche questa volta. Un po’ perché bisogna anche ammettere che senza finanziarsi attraverso il retail molte banche italiane – specialmente quelle “banche del territorio ” che prestavano agli amici degli amici – sarebbero finite a gambe all’aria (o, come nel caso di Banca Etruria, ci sarebbero finite molto prima). Un po’ perché c’è anche un altro metodo utilizzato per vendere prodotti di rischio che andrebbe raccontato nel dettaglio: alcune delle banche finite nei guai hanno prospettato ai clienti di poter ottenere prestiti o mutui a tassi scontati a patto di acquistare azioni, cioè diventare soci della banca. Qui formalmente c’è poco da eccepire: è formalmente corretto che chi sia socio di un istituto di credito abbia condizioni più vantaggiose nell’ottenere credito. Ma è chiaro che in questo modo gli istituti di credito hanno giocato con le regole – fidandosi dell’assenza di controlli – per approfittarsi di chi, invece, pensava di fare un affarone (e ha la sua parte di responsabilità nelle perdite che ora deve conteggiare, come è successo alla “povera” Serracchiani).
«Io Luigino me lo sento sulla coscienza perché mi sono comportato da impiegato di banca e se fossi stato una persona che rispettava le regole non gli avrei fatto fare quel tipo di investimento», dice oggi l’ex impiegato di Banca Etruria. E il problema, a pensarci bene, è tutto lì. Lui si sente colpevole, ma lo dice perché ormai è un ex. Nella catena di comando nessuno avrà tanti scrupoli. Perché formalmente le regole sono state rispettate. Un po’ come in tutti i crimini burocratici della storia. Avanti il prossimo.