Economia
Il clamoroso successo di Virginia Raggi su ATAC
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2017-09-28
La sindaca spaccia l’avvio della procedura di concordato preventivo in continuità per un grande successo e una vittoria dei cittadini. I quali però se ne fregano delle procedure e vorrebbero invece un servizio efficiente. Che non è detto arrivi anche in caso di chiusura positiva della procedura
Ieri Virginia Raggi ha inanellato il 255esimo successone della sua Giunta («Guarda, papà! Senza mani!») perché il tribunale ha ammesso ATAC al concordato preventivo in continuità. L’ammissione al concordato avviene prima del giudizio di merito sul piano e ancor prima del voto dei creditori ma per Raggi questa è «una vittoria dei cittadini». Poco importa se i cittadini del concordato ATAC se ne fregano e vorrebbero invece più autobus, più corse, più efficienza e la possibilità di utilizzare i mezzi pubblici invece delle automobili, mentre sono invece stanchi delle promesse di miglioramento del servizio mai mantenute dalla politica.
Il clamoroso successo di Virginia Raggi su ATAC
Giusto per riepilogare: la decisione di portare l’azienda al concordato preventivo in continuità è del MoVimento 5 Stelle e arriva quando i numeri di ATAC, secondo la propaganda dello stesso M5S, erano in miglioramento: serve a bloccare il rischio che siano fornitori o partner industriali a portare l’azienda in tribunale a causa dei debiti non ripianati. E poggia su una scelta dei grillini indipendente dal bilancio 2016, dove rispetto al 2015 i ricavi delle vendite e delle prestazioni di Atac sono aumentati di 8,4 milioni di euro, passando da 818,9 a 827,3 milioni mentre il totale delle passività si riduce di quasi 60 milioni, passando da 1.660 a 1.606 milioni. È stato infatti il Comune, come racconta oggi Daniele Autieri su Repubblica Roma, a portare l’azienda al rosso:
L’azienda sta meglio, ma questo non basta per tranquillizzare l’amministrazione capitolina che, in tempo di campagne elettorali, teme che il bubbone Atac possa scoppiare assottigliando ulteriormente il consenso, già esiguo, della sindaca e della sua giunta.
Serve una exit strategy che — rivela una fonte interna all’azienda — «si manifesta il 23 agosto quando arrivano le due lettere di disconoscimento dal parte del Comune dei debiti che in passato lo stesso Campidoglio aveva riconosciuto come suoi». Si tratta di due partite (quella del lodo con Roma Tpl e quella dei contributi aggiuntivi al contratto nazionale di lavoro) che insieme valgono 173 milioni di euro.
Il bilancio 2016 le riporta come segue: 121 milioni sotto forma di svalutazione crediti e 52 milioni sotto forma di accantonamenti a fondi rischi. Oltre al danno la beffa perché il Campidoglio pretende da Atac anche la restituzione dell’acconto di 16,9 milioni di euro già pagato a Roma Tpl.
I numeri sono numeri e nelle partite del bilancio basta questo per far andare il patrimonio netto dell’azienda sotto zero e giustificare la corsa al tribunale. A denunciarlo è lo stesso collegio sindacale ribadendo che — senza le lettere di disconoscimento del Comune — la perdita annuale di Atac si sarebbe fermata a 39,9 milioni, inferiore a quella dello scorso anno.
ATAC, il concordato preventivo e le possibili conseguenze
Con il concordato preventivo in continuità si dovrebbe tutelare sia l’azienda sia il suo creditore. Il debitore paralizza ogni possibile azione esecutiva nei suoi confronti mantenendo l’amministrazione dell’impresa (con limiti) mentre i creditori possono ricevere soddisfazione del proprio debito evitando i tempi lunghi del fallimento. Con il concordato preventivo il tribunale autorizza qualsiasi atto e approva un piano di rientro: la gestione dell’azienda diviene puramente contabile e in alternativa c’è il fallimento. Sarà il commissario a decidere cosa fare degli attivi e come verranno soddisfatti i creditori. Se i creditori rimanessero insoddisfatti potrebbero chiedere il fallimento dell’azienda. Il Cda ha affidato l’incarico di advisor finanziario e industriale alla società Ernst & Young, di supporto alla procedura di soluzione della crisi. Il vantaggio principale del concordato rispetto al fallimento è che il commissario che gestisce il concordato viene nominato dall’azienda. Il tribunale alla fine omologa il risultato ma ha un ruolo molto più marginale, lasciando alle parti molta più libertà di azioni. La richiesta di concordato in bianco, una volta presentata al Tribunale, deve essere approvata dalla maggioranza dei creditori di Atac,che verranno divisi in classi diverse, con priorità diverse per il recupero dei crediti. Il via libera dei creditori, però, non è scontato.
Il controllo del tribunale, è un’arma a doppio taglio: nel 2013, quando la nuova formula era stata battezzata da poco e la crisi trascinava migliaia di aziende in tribunale, il Cerved rivelò che la metà di quei piani di rientro si risolveva comunque con un fallimento. «I numeri non sono cambiati se non di alcuni decimali», conferma un esperto del settore fallimenti. Andrea Palazzolo, docente di Diritto delle società alla facoltà di Giurisprudenza della Luiss e coordinatore del master in Diritto d’impresa, dice a Repubblica Roma: «Non è detto che servirà a salvare l’azienda dal baratro». . «Trascorsi i 120 giorni – prosegue il docente – l’Atac dovrà presentare al giudice il piano in base al quale indicherà quando e quanto pagherà i singoli creditori». «Se il voto sarà favorevole, l’Atac dovrà corrispondere ai creditori almeno il venti per cento del debito – spiega Palazzolo – un importo elevato, a cui si aggiungono le cifre dei creditori privilegiati».
Insomma, spiega il Corriere Roma, una strettoia che dovrà soprattutto raccogliere il consenso dei creditori (oltre 1.000 soggetti, 350 milioni di debiti) che giocheranno un ruolo cruciale nel definire il buon esito della partita accettando o meno le condizioni di «rimborso» proposte. Tra gli altri, Trenitalia e Cotral – che reclamano rispettivamente 21 e 62 milioni di euro di incassi dei biglietti Metrebus non corrisposti da ATAC avevano già imboccato la strada del decreto ingiuntivo, accolto dal giudice nel caso di Cotral. In realtà l’ammissione al concordato avviene quando un’azienda dimostra di avere i requisiti minimi per potervi accedere, ovvero non è completamente al collasso. Questo, grazie a chi ha gestito l’azienda prima del M5S, è stato possibile. Ora però arriva il voto dei creditori, che se dovesse essere positivo contribuirà a mettere a posto i conti. I conti, non il servizio.