Cultura e scienze
Cosa dice davvero la sentenza del TAR su musei e direttori stranieri
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2017-05-25
Spieghiamo a Franceschini che i giudici amministrativi non sono xenofobi, non sono impazziti né hanno fatto fare figuracce all’Italia davanti al mondo. Cosa dice davvero la sentenza del TAR e perché sarebbe il caso di leggerla prima di aprire la bocca
Come un Berlusconi in sedicesimo, il ministro della Cultura Dario Franceschini ha deciso di scagliarsi contro una sentenza di un tribunale italiano (il tribunale amministrativo regionale del Lazio) che si è azzardato a bocciare la nomina di cinque dei venti direttori dei supermusei e le nomine, di conseguenza, sono state annullate. Con grande senso delle istituzioni e clamorosa capacità argomentativa, il ministro Franceschini ha affidato le sue critiche alla sentenza… a un tweet.
La sentenza del TAR sui musei
Avendo dato quindi conto della poderosa capacità argomentativa di un ministro della Repubblica italianAHAHAH, passiamo quindi a raccontare perché quei mattacchioni dei giudici amministrativi si sono azzardati a dare torto a Franceschini. In una delle sentenze, in estrema sintesi, si afferma un principio non per forza giuridico. Nel dettaglio, la sentenza nasce da un ricorso di Giovanna Paolozzi Maiorca Strozzi, dirigente del ministero dei Beni Culturali, contro il ministero dei Beni culturali e Peter Assmann, nominato al Palazzo Ducale di Mantova, e Martina Bagnoli, nominata alla Galleria Estense di Modena. La Paolozzi chiedeva l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, dell’esclusione della ricorrente dalla selezione pubblica per il conferimento dell’incarico di direttore degli istituti museali Palazzo Ducale di Mantova e Galleria Estense di Modena. La ricorrente aveva partecipato alla selezione pubblica per il conferimento dell’incarico di direttore indetta con bando il 7 maggio per il Palazzo Ducale e la Galleria Estense ma non era stata ammessa alla valutazione finale e all’ultima fase della selezione.
La legge in questione, spiega il TAR nella sentenza, è la 29 luglio 2014 n. 104: “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo”. In essa si legge:
“Al fine di adeguare l’Italia agli standard internazionali in materia di musei e di migliorare la promozione dello sviluppo della cultura, anche sotto il profilo dell’innovazione tecnologica e digitale, con il regolamento di cui al comma 3 sono individuati, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nel rispetto delle dotazioni organiche definite in attuazione del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, i poli museali e gli istituti della cultura statali di rilevante interesse nazionale che costituiscono uffici di livello dirigenziale.
I relativi incarichi possono essere conferiti, con procedure di selezione pubblica, per una durata da tre a cinque anni, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di istituti e luoghi della cultura, anche in deroga ai contingenti di cui all’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e comunque nei limiti delle dotazioni finanziarie destinate a legislazione vigente al personale dirigenziale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo”.
Nel ricorso si contestava anche il metodo di attribuzione del punteggio nella selezione. Il TAR su questo si è dichiarato incompetente a decidere: «il Collegio ritiene che esula dal perimetro di valutazione del giudice amministrativo ogni apprezzamento della commissione con riferimento ai requisiti dimostrati dalla candidata con la presentazione della domanda e degli allegati ad essa, alla quale sia stato attribuito un punteggio, in quanto tale verifica conduce ad un sindacato profondo dell’operato della commissione che coinvolge anche il confronto tra i punteggi attribuiti ai candidati, spingendosi fino al giudizio comparativo dei requisiti in possesso della odierna ricorrente e quelli il cui possesso è stato vantato dai concorrenti alla stessa posizione dirigenziale aspirata dalla ricorrente medesima (ciò vale sia per il Palazzo ducale di Modena Galleria che per la Galleria estense di Modena), decisamente ultroneo rispetto alla, più limitata, verifica giudiziale della legittimità della esclusione della candidata dalle successive fase della selezione».
Perché il TAR ha bocciato Franceschini
Il TAR ha inoltre dato ragione al ministero anche sul punteggio della selezione attribuito alla ricorrente, perché, ad esempio, «non vi sono indizi di attività specifiche e circostanziate svolte e riferite dalla candidata nella gestione di consigli di amministrazione ovvero di predisposizione e gestione di accordi, se non di numerosissime attività di collaborazione in progetti finanziati, che non possono ricondursi nell’alveo della gestione di accordi con soggetti pubblici e privati».
Il giudice amministrativo ha invece dato torto al ministero in primo luogo sul criterio di valutazione: l’assegnazione delle lettere A, B e C invece dei punteggi numerici perché «non consente di comprendere il reale punteggio attribuito a ciascun candidato, anche in ordine al criterio di graduazione di ogni singolo punto dei 20 da assegnare all’andamento della prova orale, a conclusione del colloquio sostenuto». In secondo luogo il giudice ha fatto notare che i colloqui di valutazione si sono svolti a porte a chiuse: «Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, al fine di assicurare il rispetto dei principi di trasparenza e parità di trattamento tra i candidati di una selezione pubblica […] occorre che durante le prove orali sia assicurato il libero ingresso al locale, ove esse si tengono, a chiunque voglia assistervi e, quindi, non soltanto a terzi estranei, ma anche e soprattutto ai candidati, sia che abbiano già sostenuto il colloquio, sia che non vi siano stati ancora sottoposti, atteso che ciascun candidato è titolare di un interesse qualificato a presenziare alle prove degli altri candidati, al fine di verificare di persona il corretto operare della commissione”.
Cosa dice il TAR sui direttori stranieri nei musei italiani
Infine, il tribunale amministrativo ha affrontato l’ultimo punto, quello su cui si è concentrato Franceschini nelle sue dichiarazioni (ignorando evidentemente le altre critiche del TAR) e su cui si sta scatenando un gran bailamme. Qui il tribunale spiega che “le disposizioni speciali introdotte dall’art. 14, comma 2-bis, del d.l. 84/2014, convertito in l. 106/2014, non si sono spinte fino a modificare o derogare l’art. 38 d.lgs. 165/2001“. Ovvero: la legge partorita dal governo e dal ministro non ha modificato la legge che impediva l’ammissibilità di cittadini non italiani di partecipare alle selezioni per l’assegnazione di un incarico di funzioni dirigenziali in una struttura amministrativa nel nostro Paese. Se lo avesse fatto, è il ragionamento del tribunale che oggi qualcuno, giusto per spararla grossa, accusa addirittura di xenofobia, la nomina di direttori stranieri sarebbe stata perfettamente valida.
Già questo ci fa capire chi abbia fatto una “figuraccia davanti al mondo” tra il TAR e Franceschini. Il tribunale infatti spiega: «Deve quindi affermarsi che il bando della selezione qui oggetto di contenzioso non poteva ammettere la partecipazione al concorso di cittadini non italiani in quanto nessuna norma derogatoria consentiva al MIBACT di reclutare dirigenti pubblici al di fuori delle indicazioni, tassative, espresse dall’art. 38 d.lgs. 165/2001». E non solo: il TAR ha anche spiegato che il ministero dei Beni Culturali non ha ben compreso la sua stessa legge.
D’altra parte, il chiaro tenore letterale della stessa disposizione speciale di cui all’art. 14, comma 2-bis, qui più volte citata, come appare evidente dal semplice confronto tra il primo ed il secondo periodo, non consente diverse interpretazioni.
Il carattere “internazionale” è previsto dal primo periodo solo in relazione agli “standard” che devono essere perseguiti dal MIBACT in materia di musei (nell’esercizio della relativa potestà regolamentare a tal fine espressamente attribuitagli dalla norma stessa), ma non anche in relazione alle “procedure di selezione pubblica”, previste dal secondo periodo per il conferimento degli incarichi di direzione dei poli museali e degli istituti di cultura statali di rilevante interesse nazionale.
Se infatti il legislatore avesse voluto estendere la platea degli aspiranti alla posizione dirigenziale in esame ricomprendendo anche cittadini non italiani lo avrebbe detto chiaramente, per come è dimostrato dal chiaro tenore di cui al primo periodo della citata previsione.
Il perseguimento degli “standard internazionali”, secondo le chiare intenzioni del legislatore (che non possono essere derogate dalla normativa sottordinata), si ottiene evidentemente migliorando gli aspetti sostanziali e contenutistici dell’offerta museale italiana, appunto rapportandola e adeguandola agli analoghi servizi offerti dai migliori istituti di altri Paesi (in termini, ad esempio, di ampia fruibilità anche nei giorni festivi o nelle ore serali, di efficienza e rapidità di accesso da parte della platea dei visitatori, di miglioramento del rapporto costi/ricavi, di adeguamento delle strutture e delle risorse umane, ecc.), non certamente con interventi formali e di immagine.
Ricapitolando, quindi: la questione della nazionalità non è l’unico elemento che ha portato alla sconfitta del ministero in tribunale. Ci sono ragioni di trasparenza non rispettata che Franceschini avrebbe dovuto notare. In più, il ministero avrebbe avuto la possibilità di “coprire” legalmente la questione dei direttori stranieri ma non lo ha fatto. Il ministro ha annunciato un ricorso al Consiglio di Stato. In attesa che la giustizia faccia il suo corso – magari ribaltando la sentenza – sarebbe carino da parte delle istituzioni, dei parlamentari, dei segretari dei partiti politici evitare di attaccare altre istituzioni dello Stato con argomenti da bar. O almeno prima di farlo imparino a scrivere le leggi.
EDIT: Un’altra sentenza del TAR sullo stesso argomento ha respinto la richiesta di sospendere Eike Schmidt da Direttore della Galleria degli Uffizi di Firenze e Cecile Holberg dalla Galleria dell’Accademia di Firenze. Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso relativo alla direzione degli Uffizi e dell’Accademia di Firenze proposto dalla ricorrente Giovanna Damiani. Per i giudici la ricorrente, non avendo potuto dimostrare “l’illegittimità della estromissione dalla ‘decina’ dei candidati idonei a concorrere alla seconda fase della complessa procedura selettiva”, non ha dunque “alcun interesse diretto alla impugnazione delle nomine”. Mentre il ricorso della stessa Damiani relativamente alla direzione dell’Accademia di Venezia, “con riferimento alla possibilità attribuita a soggetti non italiani di aspirare ad assumere funzioni dirigenziali in una pubblica amministrazione”, è stato dichiarato inammissibile tenuto conto che “è risultata vincitrice una italiana”. Questo perché i giudici ce l’hanno con gli stranieri…