Il Salva-Roma e i debiti delle grandi città

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-04-23

La Lega vorrebbe estendere la norma ad altri Comuni in bolletta, in primis Catania e Alessandria, ma sono a rischio dissesto anche Caserta, Messina, Vibo Valentia. Ma non ci sono i soldi

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Oggi in Consiglio dei Ministri si deciderà il destino del Salva-Roma, ovvero la norma che taglia il debito della Capitale già presentata da Virginia Raggi e Laura Castelli ma ancora in bilico dopo l’indagine per corruzione nei confronti di Armando Siri. La Lega pretende che il salva Roma venga tolto dal Dl Crescita oggi in Consiglio dei ministri, per poi essere votato in sede di conversione del decreto “assieme alle altre norme per i Comuni”, mentre Luca De Carolis sul Fatto Quotidiano svela un retroscena gustoso:  l’altro viceministro al Mef, Massimo Garavaglia, aveva dato la sua approvazione. Tanto che il Carroccio stava pensando di intestarsi il provvedimento, per lanciare così la sua campagna in grande stile per prendersi Roma.

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Il Salva-Roma nel decreto crescita (Il Giornale, 23 aprile 2019)

Il Messaggero intanto fa sapere che molti dei contenuti del decreto crescita, rispetto alla sua approvazione “salvo intese”, sono rimasti ma con una revisione decisamente al ribasso nelle risorse a disposizione. Alleggerito, per esempio, il taglio dell’Ires per le imprese. L’aliquota non scenderà più dal 24% al 20%, ma dal 24% al 20,5% in tre anni, entro il 2022. Una mossa che farà risparmiare 500 milioni di euro al Tesoro. Così anche l’aumento della deducibilità dell’Imu sui capannoni, che il vicepremier Luigi Di Maio avrebbe dovuto azzerare adesso salirà “solo” fino al 70% e, ancora una volta, non tutto insieme ma nei prossimi tre anni.

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Il debito delle grandi città (Il Sole 24 Ore, 23 aprile 2019)

Intanto il Sole 24 Ore definisce i termini della partita aperta con gli altri comuni dopo l’uscita della Lega: la sirena suona prima di tutto nell’altra metropoli a Cinque Stelle, Torino, anche lei ricca di eredità costose: i 2,8 miliardi di debito fanno 3.181 euro a residente, e portano l’indicatore dei costi su su fino al 19% delle entrate da tributi, tariffe e trasferimenti.

Seconda sul podio è Genova, oggi governata dal centro-destra dopo una lunga stagione a sinistra, e terza è Napoli a guida arancione. A Cagliari e Bari, dove i debiti sono bassi, si guarda alla vicenda con disinteresse; così come a Palermo (dove i problemi sono nella sostenibilità della cassa), Venezia e Bologna. Appena dietro al terzetto di testa delle città indebitate arriva Reggio Calabria, a cui però è destinata la seconda mossa del «salva-Comuni».

La città, impegnata in un complicato piano di rientro-antidissesto, è incappata nella Corte dei conti. I magistrati contabili le hanno chiesto di ripianare in 10 anni i deficit extra nati dalla cancellazione di vecchie entrate, invece che nei 30 anni prima concessi da una norma bocciata dalla Consulta.

La Lega vorrebbe estendere la norma ad altri Comuni in bolletta, in primis Catania e Alessandria, ma sono a rischio dissesto anche Caserta, Messina, Vibo Valentia. I grillini non sarebbero ostili a una simile soluzione, ma non subito, infatti la vorrebbero attuare in fase di conversione del provvedimento in Parlamento. Salvini invece la pretende subito. Ma estendere il “Salva Roma” – che prevede la chiusura nel 2021 dell’ente governativo che detiene il debito storico accumulato dal Campidoglio dagli anni Cinquanta al 2008: 12 miliardi di euro – agli altri Comuni significherebbe gravare troppo sul bilancio dello Stato.

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