Il reddito di cittadinanza e il primo lavoro da rifiutare

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-10-15

Le offerte di lavoro verranno modulate su base geografica. Ma soprattutto al Sud attendono la nuova misura. Che potrebbe scatenare un esodo dal Meridione al Settentrione

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Chi avrà il reddito di cittadinanza potrà rifiutare il primo lavoro proposto dal centro per l’impiego se questo è troppo lontano da casa. Le offerte di lavoro verranno modulate su base geografica, ha detto ieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte,  ma sono soprattutto i disoccupati del Mezzogiorno ad attendere l’assegno di 780 euro. E allora ecco la prima “correzione”.

Il reddito di cittadinanza e il primo lavoro da rifiutare

Per non penalizzare quei territori sarà necessario tener conto della distribuzione geografica delle offerte di lavoro che sono per la maggior parte al Nord. La soluzione, secondo fonti di Palazzo Chigi, è di non penalizzare chi rifiuterà come prima offerta di lavoro un’occupazione fuori dalla propria regione. Come dire all’inizio si cerca di evitare lo spostamento dalla zona di residenza, ma poi, se proprio un posto non si trova bisognerà accettare il lavoro dov’è, al Nord. Una soluzione che è molto simile a quella che si vive già oggi, visto che l’emigrazione dal Sud al Nord del paese è sempre viva anche se adesso gli obiettivi di chi lascia la propria città sono aumentati e si pensa anche di andare all’estero.

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Il reddito di cittadinanza e l’ISEE: i controlli della GdF e le truffe (Il Sole 24 Ore, 8 ottobre 2018)

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Il reddito di cittadinanza quindi si farà in modo da non penalizzare chi rifiuterà come prima offerta di lavoro una occupazione al di fuori della propria città o regione». Da un lato, come già oggi prevede la legge, i centri per l’impiego dovranno proporre offerte economicamente congrue e in luoghi non eccessivamente lontani dalla propria abitazione (attualmente, per esempio, la distanza non può essere coperta con viaggi in treno superiori agli 80 minuti); dall’altro si guarda una ripartizione del miliardo per i centri per l’impiego, favorendo le realtà dove queste strutture sono più carenti. Che molto spesso sono le stesse dove è maggiore la necessità di formare e ricollocare disoccupati.

La mission impossible dei centri per l’impiego

Rimane comunque il problema dell’efficienza dei centri per l’impiego. Con i loro 8 mila dipendenti si prendono carico ogni anno di quasi due milioni di persone, ma alla fine trovano lavoro ad appena 37 mila. Marco Ruffolo su Repubblica spiega oggi che sarà difficile allineare i tempi della riforma dei centri annunciata dal governo, con l’avvio della misura su cui i Cinquestelle e l’intero esecutivo si giocano tutta la loro credibilità.

C’è da aspettarsi anzi che molti centri, soprattutto al Sud, andranno letteralmente in tilt dovendo rispondere non più agli attuali 1,7 milioni di senza lavoro (il 42% dei disoccupati e il 22% degli inattivi disposti a lavorare), ma a 6,5 milioni di poveri e pensionati al minimo. Come dire che ciascuno dei dipendenti dovrà prendersi in carico 812 persone e proporre loro fino a tre lavori. Scenario al di là di ogni buon senso se pensiamo che già ora non reggono il flusso crescente dei disoccupati. A Bari è dovuta intervenire un mese fa la polizia per sedare più di una rissa e calmare 250 cittadini in fila davanti a 4 sportellisti.

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I centri per l’impiego in Italia (La Repubblica, 15 ottobre 2018)

Nella maggior parte dei casi – dice l’ultimo rapporto dell’Anpal – la carenza di personale ( il 50% di tutte le criticità) si accompagna alla inadeguatezza di strumenti informatici (26%), all’assenza di banche dati (7,7), alla scarsezza di spazi (5,9%). Ma c’è anche una strutturale carenza di professionalità (10%): mancano orientatori e psicologi, esperti in consulenza aziendale e mediatori culturali. Dunque non bastano le assunzioni.

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