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Il premio del giornalista della settimana a Repubblica e il precedente della Stampa

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-05-13

Da ieri infatti in molti stanno sfottendo il neo-direttore di Repubblica per il premio al giornalista della settimana. In pochi però ricordano come andò a finire quella volta di Beatrice Di Maio e del premio Igor Man. Riepiloghiamo

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Maurizio Molinari non dev’essere superstizioso. Da ieri infatti in molti stanno sfottendo il neo-direttore di Repubblica per il premio al giornalista della settimana e che consiste in una R stilizzata con il nome del vincitore e in un riconoscimento economico di 600 euro lordi in busta paga, che verrà assegnato da lui scegliendo tra le proposte presentate dai caporedattori entro il giovedì precedente.

Il premio del giornalista della settimana a Repubblica e il precedente della Stampa

Una storia che ricorda da vicino l’ufficio del ragionier Fantozzi, a prima vista. Eppure c’è un precedente che pochi ricordano e che avrebbe dovuto consigliare al direttore maggiore prudenza. Si tratta della strana storia di Beatrice Di Maio, che comincia il 16 novembre quando La Stampa, allora diretta proprio da Molinari, pubblica un articolo a firma di Jacopo Iacoboni raccontava che  “Palazzo Chigi denuncia l’account della cyber propaganda pro M5S“. Una storia bellissima, piena di account fake (o presunti tali) che lavorano tutti assieme – coordinati da una misteriosa regia occulta – per attaccare Matteo Renzi e il Governo. Nella vicenda c’era un manipolo di twittatori prezzolati che si occupava di gettare fango su Renzi, sulla Boschi e soprattutto a rilanciare notizie e informazioni – false o tendenziose – di un più ampio network populista che attualmente è molto attivo nella campagna per il No al referendum. Tra di loro spiccava il nome di Beatrice Di Maio, un account Twitter da quasi quattordicimila follower che secondo Iacoboni era la vera e propria centrale operativa del sistema pentastellato il cui funzionamento veniva spiegato con un’elegante supercazzola:

Beatrice si muove dentro quella che è configurata come una struttura: a un’analisi matematica si presenta disegnata a tavolino secondo la teoria della reti, distribuita innanzitutto su Facebook (dove gravitano 22 milioni dei 29 milioni di italiani sui social), e – per le élite – su Twitter.

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Ed è questo il motivo per il cui sottosegretario a Palazzo Chigi Luca Lotti aveva deciso di denunciare Beatrice Di Maio per diffamazione alla Procura di Firenze. Nell’articolo Iacoboni faceva continuamente riferimento all’«analisi matematica sui dati della parte pubblica di twitter», suggerendo l’esistenza di reti e sostenendo che Beatrice si muovesse «dentro quella che è configurata come una struttura: a un’analisi matematica si presenta disegnata a tavolino secondo la teoria della reti, distribuita innanzitutto su Facebook (dove gravitano 22 milioni dei 29 milioni di italiani sui social), e – per le élite – su Twitter». L’articolo era sobriamente illustrato con una foto di Beppe Grillo e Casaleggio, e chi voleva capire poteva capire benissimo.

Il premio Igor Man per Beatrice Di Maio

La fine della storia, ancorché anticipata da molti, arriva un pezzo per volta. Dapprima Franco Bechis sul Tempo scopre che Beatrice Di Maio in realtà è Titti Brunetta alias Tommasa Giovannoni Ottaviani,  la moglie di Renato. Nel marzo 2018 la denuncia di Lotti ha come risultato millecinquecento euro di multa per Titti e la dispersione totale di tutto il discorso sugli “account chiave”. All’epoca La Stampa non prese benissimo la scoperta di Bechis e pubblicò un trafiletto piuttosto arrabbiato:

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A quel punto il quotidiano diretto da Maurizio Molinari (che curiosamente non diede notizia della multa da 1.500 euro) pubblicava un trafiletto anonimo in cui sosteneva che la notizia è quella della querela per diffamazione, che nell’articolo era immersa all’interno di una serie di…curiose discussioni su “analisi matematiche” di cui non sono mai state pubblicate le prove e in cui si dicevano cose come: «L’account si muove dentro una struttura di propaganda. Al vertice ci sono i mediatori top. In basso, invece, semplici attivisti grillini o profili fake che rilanciano post e tweet».

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Quello che in pochi ricordano però è che anche all’epoca La Stampa aveva un riconoscimento per il miglior articolo della settimana e tre giorni dopo la pubblicazione del primo pezzo diede il premio proprio a Iacoboni “per gli articoli sulla cyberpropaganda pro M5S finita anche nel mirino della procura”. Il resto è storia: non c’era nessuna rete occulta guidata da chissà chi e la procura non mise nel mirino un bel niente. In ogni caso aspettiamo il primo vincitore di Repubblica. E speriamo che gli vada meglio che a Iacoboni.

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