Perché per Whirlpool non bastano dieci milioni

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-08-06

Riconvertire resta quasi sempre una chimera nonostante la generosa disponibilità di incentivi pubblici. La desertificazione industriale del Mezzogiorno sta lì a dimostrarlo in tutta la sua evidenza

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Il Mattino oggi spiega in un articolo a firma di Nando Santonastaso che i dieci milioni stanziati dal ministero dello Sviluppo guidato da Luigi Di Maio per la Whirlpool di Pomigliano rischiano di non bastare

Sul tavolo complessivamente ci sarebbero dieci milioni (e non tutti destinati al caso Whirlpool) e la possibilità di gestire con contratti di solidarietà o misure simili la fase di transizione tra l’attuale missione produttiva e quella che potrebbe essere annunciata a settembre. Allo scetticismo in parte mostrato dai sindacati, si aggiungono le perplessità degli addetti ai lavori.

Nel senso che, spiega appunto Seghezzi (presidente della fondazione Adapt, ndr), «se in Italia vogliamo competere su una fetta medio-bassa di mercato, dobbiamo dirci chiaramente, e a prescindere dal caso Whirlpool, che rischiamo di restare definitivamente fuori dai giochi. Noi abbiamo un costo del lavoro tipico di un Paese sviluppato e tendenzialmente uno scarso legame tra produttività e costo del lavoro. L’unico modo per attrarre le imprese è lasciare spazio a quelle che facciano innovazione, investendo capitali in formazione e competenze». Insomma, bisogna andare oltre le emergenze, nella consapevolezza peraltro che ognivertenza è diversa da un’altra. «Se i soldi – insiste Seghezzi- vengono dati nell’ambito di un disegno più vasto di riqualificazione del personale che consente ad un’azienda di rilanciarsi sul lavoro di qualità, allora a mio giudizio si tratta di soldi ben spesi. Se servono solo a tamponare un modello di produzione che non è più sostenibile in Italia,e dunquesi tende soprattutto a tenere buone le persone, allora si corre il pericolo di ritrovarsi con lo stesso problema dopo un anno o due».

whirlpool di maio

Questo è esattamente ciò che succederà a Whirlpool e che è successo in altri casi di crisi industriali:

Il dilemma non è nuovo, la storia di tantissime crisi industriali nel nostro Paese sta lì a dimostrarlo. Per una Bridgestone che dopo avere annunciato la chiusura dello stabilimento di Bari (2014) è poi riuscita a risollevarlo grazie alle misure concordate tra governo e Regione Puglia, c’è una Fiat che a Termini Imerese dopo la fine della produzione non è più riuscita ad attrarre un gruppo che le subentrasse, garantendo l’occupazione.

Nemmeno la vicinanza del porto, fattore solitamente strategico per ogni investimento industriale, ha fatto la differenza. Per non parlare del vuoto apertosi proprio in Campania all’indomani delle chiusure eccellenti dell’Italsider di Bagnoli o della Italtel di Santa Maria Capua Vetere e della 3M nel Casertano. Riconvertire resta quasi sempre una chimera nonostante la generosa disponibilità di incentivi pubblici. La desertificazione industriale del Mezzogiorno sta lì a dimostrarlo in tutta la sua evidenza.

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