Cultura e scienze

Perché l'Italia è un paese di ignoranti?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-10-06

Il rapporto OCSE fotografa un Paese che non ha abbastanza a cuore la formazione e l’istruzione dei propri cittadini. Soprattutto al Sud dove il tasso di abbandono scolastico e di italiani con scarse competenze linguistiche è decisamente più alto che nel resto del Paese

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È stato presentato ieri al Ministero dell’Economia e delle Finanze il Report realizzato dall’OCSE sulla “National Skills Strategy“. Le notizie non sono incoraggianti: secondo lo studio sulle competenze degli adulti realizzata dall’OCSE oltre 13 milioni di adulti ─ vale a dire il 40% della popolazione italiana ─ hanno bassi livelli di competenze linguistiche e matematiche. Questo numero di adulti con basse competenze è molto più alto di quello che si osserva in altri paesi OCSE, dove la percentuale media di low-skilled è del 27% della popolazione.

Al Sud il record di abbandono scolastico

Dal rapporto emerge anche che in Italia solo il 35% dei giovani si iscrive all’università. Si tratta di una percentuale molto più bassa rispetto alla media dei paesi OCSE che si attesta a quasi il 50%. Questo significa che in Italia solo due giovani su dieci, nella fascia d’età 25-34 anni, sono in possesso del diploma di laurea, la media dell’OCSE è dieci punti più alta, al 30%. Il National Skills Strategy ha come obiettivo quello di evidenziare quali sono i punti di forza e i punti deboli del nostro sistema scolastico. Il rapporto si concentra sull’analisi delle varie fasce dell’offerta formativa, a partire dalla disponibilità di posti nelle scuole per l’infanzia fino alla qualità dei lavori dei laureati passando per il livello di competenze degli studenti della scuola secondaria.
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L’OCSE non vuole bacchettare l’Italia ma fa una semplice fotografia – una diagnosi – della situazione attuale. Pur riconoscendo gli forzi fatti con la riforma della cosiddetta “Buona Scuola” e sull’Alternanza Scuola Lavoro il rapporto fotografa un Paese che ancora fa fatica a considerare la scuola una priorità. Tant’è che la percentuale di studenti tra i 18 e i 24 anni che abbandonano gli studi è una delle più alte tra i paesi europei. Il maggiore tasso di abbandono scolastico si registra nelle regioni del Sud con Campania, Sardegna e Siclia a guidare la classifica. Le regioni “virtuose” sono Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Umbria.
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Ma sul basso livello dell’istruzione italiana – certificati dai risultati del PISA 2015 – pesano soprattutto gli scarsi investimenti nella scuola: ad esempio gli stipendi degli insegnanti della scuola dell’obbligo sono molto inferiori alla media OCSE. Se si alzassero gli stipendi – spiega l’OCSE – il sistema scolastico italiano potrebbe attrarre docenti migliori e più motivati, soprattutto nelle are depresse del Paese e in quelle scuole collocate nei contesti più difficili dove maggiore è la necessità di fornire un’istruzione che consenta agli studenti di acquisire le competenze necessarie per fare il cosiddetto “salto di qualità”. C’è però da dire che l’OCSE stigmatizza il fatto che i docenti italiani sono spesso abbandonati a loro stessi e alla loro buona volontà: manca infatti un sistema generalizzato di valutazione delle competenze e i Dirigenti scolastici non sono in grado di fornire un feedback sull’operato degli insegnanti.

Chi sono gli italiani “ignoranti”

L’Italia deve anche trovare il modo di “recuperare” quei 13 milioni di italiani che non hanno sviluppato nel corso della vita un livello adeguato di competenze linguistiche e matematiche. Si stima che circa il 39% degli italiani nella fascia d’età tra i 25 e i 65 anni rientri in questa categoria. Generalmente si tratta di immigrati ma anche di persone che non hanno mai potuto o voluto completare gli studi e non hanno mai sentito la necessità di potenziare le loro competenze. Per capire il livello di scarsità di abilità linguistiche stiamo parlando di persone che hanno difficoltà a comprendere un testo scritto con semplici istruzioni. Non si tratta di analfabetismo quanto dell’incapacità a capirne il senso e il significato.
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Si tratta di persone che hanno un lavoro – generalmente lavorano nelle PMI con pochi dipendenti e nella manifattura – ma che qualora perdessero il lavoro potrebbero avere più difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro. Di nuovo il rapporto evidenzia un divario tra Nord e Sud del Paese, con la maggior parte degli italiani a basso livello di competenze localizzato in Calabria, Basilicata e Campania. È chiaro che la situazione riflette le difficoltà già rilevate per quanto riguarda il livello scolastico degli studenti della scuola dell’obbligo e il tasso di abbandono scolastico. Il nostro Paese deve quindi incentivare programmi di formazione continua in modo da garantire anche a queste persone di poter ultimare il corso di studi o migliorare le proprie competenze.
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La responsabilità non è solo dello Stato – che ritiene che il piano dell’industria 4.0 possa colmare il gap –  ma anche delle aziende che dovrebbero incentivare la crescita dei propri dipendenti. Solo una parte di questi italiani a basso livello di competenze (il 9%, 1,2 milioni di persone) ha espresso il desiderio di migliorare la propria formazione ha infatti il problema di dover al tempo stesso continuare a lavorare, un’eventuale incentivo fiscale alle aziende che favoriscono la formazione dei dipendenti potrebbe mitigare il problema. Rimane il fatto che l’OCSE fotografa un Paese diviso a metà dove chi studia non sempre ottiene il giusto riconoscimento una volta nel mondo del lavoro e dove lo Stato non fa abbastanza per garantire che tutti i cittadini abbiano accesso ad un’istruzione di qualità.

Il problema dell’ingresso dei laureati nel mondo del lavoro

Secondo l’OCSE oggi l’Italia «è bloccata in una situazione di “equilibrio di basse competenze”, in cui l’insufficiente offerta di competenze è accompagnata da una scarsa domanda del mercato del lavoro». In Italia i laureati hanno uno dei più bassi livelli di competenza linguistica e matematica se paragonati con quelli degli altri paesi OCSE: il nostro Paese si trova infatti al 26esimo posto (su 29) in entrambe le classifiche. C’è da dire però che in Italia possedere un titolo di studio elevato (ovvero una laurea di primo livello o superiore) non è una garanzia di poter trovare un posto di lavoro. Questo è dovuto solo in parte al fatto che le università italiane – sostiene il rapporto – non formano personale “appetibile” per le aziende le quali lamentano di non trovare nei laureati italiani le competenze necessarie.
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Circa il 35% dei lavoratori italiani finisce poi per lavorare in un ambito diverso da quello per cui hanno studiato. Nel 40% dei casi le aziende puntualizzano che i laureati italiani hanno bisogno di ulteriore formazione per poter assolvere ai loro compiti lavorativi. Ma d’altra parte l’assenza di quella che l’OCSE chiama skill-match porta alla situazione di lavoratori che hanno più competenze del necessario per svolgere un lavoro (11,7%) o che sono sovra-qualificati (18%).
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Il livello dei salari per i laureati che hanno un lavoro a tempo pieno e per coloro che hanno conseguito il diploma di maturità è generalmente molto basso. Si arriva al paradosso che chi detiene un PhD guadagna quanto coloro che hanno una formazione di livello “inferiore”. Gli unici laureati che “guadagnano bene” – al di sopra della media OCSE – sono coloro che lavorano nel campo della Sanità e della salute.
 

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