Una pensione base di 650 euro per i giovani

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-08-31

Un assegno minimo garantito da 650 euro al mese a chi ha almeno 20 anni di contributi, che può crescere di 30 euro per ogni anno di lavoro in più, fino a un massimo di 1.000 euro. Ma…

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Una pensione base che renda più facile il ritiro per chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995 e ricade interamente nel sistema contributivo. Se si hanno almeno 20 anni di contributi versati i “giovani” del sistema contributivo potranno accedere alla pensione di vecchiaia, che oggi arriva a 66 anni a 7 mesi ma l’età salirà in base alle speranze di vita, se avranno maturato un importo pari ad almeno 1,2 volte l’assegno sociale (cioè circa 537 euro di oggi), mentre le regole della riforma Fornero fissano la soglia a 1,5 volte.

Una pensione base di 650 euro per i giovani

Questo significa, spiega oggi il Corriere della Sera, che un numero maggiore di persone con carriere lavorative povere potranno accedere alla pensione normale, senza dover aspettare altri quattro anni (oggi la soglia è fissata a 70 anni e 7 mesi, ma salirà anche questa) per prendere la pensione posticipata che spetta, con un minimo di 5 anni di contributi, a coloro appunto che non maturano l’importo minimo per la pensione normale. Inoltre, coloro che non hanno altri redditi potranno cumulare questa pensione più facilmente con parte dell’assegno sociale perché la pensione conterà non più per due terzi ai fini dei requisiti di reddito per accedere all’assegno stesso ma il 50%. Secondo i calcoli del governo, i 537 euro della pensione potranno così salire intorno ai 660 euro al mese.
pensioni di vecchiaia
L’assegno può crescere di 30 euro per ogni anno di lavoro in più, fino a un massimo di 1000 euro. Ma in realtà siamo ben lontani da un impegno concreto, da inserire cioè nell’imminente legge di Bilancio. Il governo è agli sgoccioli e può quindi soltanto limitarsi a limare la la soglia pari a 1,5 volte l’assegno sociale (cioè 672 euro) per accedere alla pensione di vecchiaia, imposta dalla legge Fornero a tutti i post 1996 — dunque a chi è al 100% nel sistema contributivo e prenderà in base ai contributi versati e non agli ultimi stipendi — per evitare importi troppo bassi e pensionati indigenti. Ma così trattenendoli al lavoro fin oltre i 70 anni. L’idea dei tecnici di Palazzo Chigi sarebbe scendere a un coefficiente pari a 1,2. E dunque, visto che l’assegno sociale è ora pari a 448 euro, si arriverebbe ad un vincolo di 538 euro: se la tua pensione è sotto questa cifra, continui a lavorare ancora.

Nuove regole o solo chiacchiere?

Nella somma andrebbero comprese anche le maggiorazioni sociali. Su questo intervento i sindacati si sono detti sostanzialmente favorevoli, pur riservandosi delle valutazioni più puntuali. Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, non condivide invece l’introduzione di una pensione di garanzia per i giovani che hanno avuto carriere discontinue perché sarebbe un trasferimento di costi a carico delle generazioni future. Del tutto insoddisfatti Cgil, Cisl e Uil, invece, sulla questione del meccanismo automatico dell’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Punto su cui sono tornati in pressing per chiederne lo stop. “Noi abbiamo confermato la posizione del governo”, ossia che il tema “potrà essere discusso quando l’Istat avrà diffuso i dati” tra settembre e ottobre, ha ribadito il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti, al tavolo con i sindacati. Dura la replica del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso: “Vorremmo sottolineare un’ampia reticenza da parte del governo a dire che la questione è all’ordine del giorno” e che bisogna intervenire.

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Pensioni, a chi si applica il sistema retributivo e contributivo (La Repubblica, 30 luglio 2017)

I prossimi appuntamenti sono fissati per il 5 settembre (sui temi del lavoro), il 7 e il 13 settembre (ancora sulle pensioni). Ma “entro la fine del mese di settembre e, comunque, prima della presentazione della legge di bilancio bisogna arrivare ad un risultato”, ha avvertito il leader della Uil, Carmelo Barbagallo. Per la Cisl, come ha detto il segretario confederale Maurizio Petriccioli, si tratta di “ipotesi positive ma ancora non sufficienti per tenere insieme il necessario ripristino delle condizioni di flessibilità con il tema dell’adeguatezza dei trattamenti pensionistici”. Altro capitolo al centro del confronto quello della previdenza complementare, con l’ipotesi di incentivare la Rita, la Rendita integrativa temporanea anticipata, anche con la detassazione. E di consentire che la pensione integrativa possa fare da reddito ponte per chi vuole uscire prima (oggi questo vale solo all’interno dell’Ape social).

Leggi sull’argomento: Perché il reddito di inclusione non basta

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