Economia
67 anni: cosa succede all'età della pensione
di Giovanni Drogo
Pubblicato il 2017-06-19
Oggi Libero ci spiega che il governo vuole farci andare in pensione “solo dopo morti”. Un modo curioso per parlare dell’ipotesi di aumento dell’età pensionabile da 66 anni e sette mesi a 67 anni.
Aumenta l’aspettativa di vita e quindi il governo sta valutando l’ipotesi di innalzare l’età per poter andare in pensione. Attualmente la legge prevede che servano almeno 66 anni e 7 mesi, dal 2019 questo limite potrebbe essere portato a 67 anni. Secondo i calcoli dei tecnici la speranza di vita dopo i 65 anni si sta innalzando. Per gli uomini si è passati dai 18,6 anni del 2013 ai 19,1 anni del 2016. Per le donne invece da 22 a 22,4.
Come potrebbe cambiare l’età pensionabile
Si tratta di un ragionamento che stanno facendo gli istituti di previdenza di altri paesi europei. Ma in Italia la questione può essere interpretata in modo fantasioso. Ad esempio come fa Libero oggi che – riprendendo la notizia data ieri dal Corriere della Sera – titola in prima pagina: “In pensione solo dopo morti“. Come detto il ritocco dell’età pensionabile, che non è ancora stato approvato, è dovuto ad un semplice ricalcolo della speranza di vita a 65 anni.
Ma per Libero le cose non sono così semplici. Il motivo vero è che l’INPS non ha più i soldi per pagare i contributi. In sostanza l’INPS starebbe fallendo. La storia però non corrisponde alla realtà dei fatti. E soprattutto fa parte del filone letterario di successo noto come “la macchina del fango di Libero contro l’INPS“. Perché in realtà l’INPS non sta fallendo, e anche se fallisse – ha spiegato il Presidente dell’ente di previdenza Tito Boeri – Tito “i cittadini continueranno ad avere le loro prestazioni e le loro pensioni”.
Boeri ha infatti spiegato che “il disavanzo< deriva unicamente da ritardi nei trasferimenti dello Stato che vengono anticipati dall’Inps e poi ripianati di nuovo dallo Stato”. Qualcosa che è già successo altre volte. Ma qualche problema c’è, anche se non nell’immediato. Secondo uno studio pubblicato da La Stampa ad aprile 2017 c’è il rischio che tra il 2030 e il 2035 il sistema pensionistico possa subire un picco di richieste.
L’Anticipo pensionistico come misura di “riduzione del danno”
Ma il problema è dovuto ad una serie di circostanze che non riguardano il buco nel bilancio dell’INPS ma all’invecchiamento della popolazione e ad una eventuale (e temuta) mancata crescita del PIL. In parole povere fra una quindicina d’anni i pensionati potrebbero essere più dei lavoratori (oggi la percentuale di pensionati è pari al 37%). Una situazione che renderebbe insostenibile il carico previdenziale. C’è stato un periodo in cui gli italiani hanno fatto più figli, e la data in cui quei lavoratori si avvicinano alla pensione è prossima. Il problema è che gli italiani poi hanno “smesso” di fare figli.
Per risolvere il problema non basteranno però i contributi versati dai lavoratori immigrati (che sono in ogni caso sostanziali e fondamentali). Ed è per questo motivo che il Corriere parla dell’Ape volontaria come una misura di “riduzione del danno”. Non solo perché l’APE volontaria non ha costi per lo Stato ma soprattutto perché consentirebbe ai lavoratori (che ne hanno possibilità) di andare in pensione prima. Questo vale solo per l’anticipo pensionistico volontario, che è finanziato dalle banche. Nel caso dell’APE sociale i costi per lo Stato ci sono, e quindi siamo da punto a capo.