L’eterno ritorno degli investimenti fuori dal calcolo del deficit

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-05-19

Una proposta antica che ritorna anche nel contratto Lega-M5S. Ma ci sono una serie di problematiche tecniche per realizzarla. E soprattutto: ci vuole la volontà politica…

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Anche nel contratto Lega-M5S si parla di portare gli investimenti pubblici fuori dal calcolo del deficit. Una proposta “antica” – i primi sponsor della proposta sono stati Romano Prodi e Mario Monti – e della quale non si è mai fatto nulla negli anni. Dino Pesole sul Sole 24 Ore spiega quali siano le difficoltà oggettive dietro il diniego. Tecniche, sì, ma anche politiche:

La domanda è: perché finora non se ne è fatto nulla? Per la prevalente contrarietà soprattutto della Germania ad aprire un vaso di Pandora denso di incognite. Per l’oggettiva difficoltà – evidenziata dai tecnici di Eurostat – a classificare in modo omogeneo per tutti i paesi membri gli investimenti con impatto certo sul potenziale di crescita delle rispettive economie.

E infine, poiché la golden rule variamente declinata non compare nel Fiscal Compact, per introdurla occorrerebbe modificare i trattati, con tempi lunghissimi data l’attuale procedura che coinvolge Commissione, Consiglio, Parlamento europeo e in ultima istanza i parlamenti nazionali. Decisione che va assunta all’unanimità, dunque da tutti i 27 paesi.

investimenti pubblici
La spesa in conto capitale (CGIA Mestre)

Spiega però il quotidiano che nella comunicazione sulla flessibilità del 2015 fatta dall commissione è stata inserita una clausola per investimenti: nel 2016 il governo Renzi ne ha fruito per lo 0,21% (circa 3,5 miliardi). Inizialmente la Commissione si era spinta fino allo 0,25%, per poi ridurre il margine di flessibilità a consuntivo, con la motivazione che non tutti gli investimenti programmati e comunicati a Bruxelles erano stati effettivamente realizzati. Ma il problema finale è appunto politico:

Nel totale, comprendendo tutte le clausole (investimenti, riforme, eventi eccezionali, emergenza migranti e sicurezza) tra il 2015 e il 2018 la flessibilità concessa si avvicina ai 30 miliardi. Per gli investimenti, attivati attraverso il meccanismo del cofinanziamento, la partita è complessa, al pari delle altre clausole non essendo previsti al momento ulteriori “sconti”. Stante l’attuale disciplina di bilancio, la flessibilità per riforme strutturali e investimenti pubblici potrà essere nuovamente richiesta solo dopo aver raggiunto l’obiettivo di medio termine, vale a dire il pareggio di bilancio.

Se non verrà modificato il timing, per noi se ne riparlerà nel 2021, l’anno dopo aver centrato il risultato. Le cifre in ballo non sembrano comunque risolutive. Con queste premesse, si può certamente provare a riproporre in sede europea il tema più complessivo dello scorporo in tutto o in parte della spesa per investimenti dal calcolo del deficit, nella consapevolezza che per provare a istruire la pratica occorrono una notevole abilità negoziale e soprattutto solide alleanze, in primis con Francia e Germania. Da questo punto di vista, alla luce dei primi vagiti del probabile nascituro governo, le incognite superano di gran lunga le certezze.

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