Come ILVA rischia di esplodere in faccia a Di Maio

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-06-20

Ieri gli incontri con le associazioni e con Mittal, che sarebbe pronta ad agire comunque dal primo luglio. C’è poco tempo per una soluzione e l’unica all’orizzonte sembra essere quella di un mix di ridiscussione degli accordi

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Lakshmi Mittal lo ha detto chiaramente ieri a Luigi Di Maio: «Arcelor Mittal è pronta a chiudere l’operazione entro il periodo concordato ed essere operativa dal primo luglio». Con o senza accordo con i sindacati, a quanto pare. È stato lui l’ospite “d’onore” della giornata di ieri al ministero dello Sviluppo: il capo del colosso mondiale dell’acciaio che attraverso la newco AmInvestco Italy  ha vinto la gara per l’acquisizione dell’Ilva e ora ha intenzione di andare avanti, anche con altre concessioni dal punto di vista ambientale se necessario.

Come ILVA rischia di esplodere in faccia a Di Maio

Ma Mittal non molla ILVA e la situazione adesso si fa sempre più difficile per Luigi Di Maio. Da una parte c’è Beppe Grillo che vaneggia di fondi europei per la bonifica del sito di Taranto, e lui “parla a titolo personale”. Dall’altra ci sono le associazioni ambientaliste e dei consumatori che premono per la chiusura del sito. Poi ci sono i sindacati che sono in attesa di capire cosa vuole fare il nuovo governo e promettono, in caso di brutte notizie, 14mila operai sotto il ministero. Infine c’è il nuovo proprietario che potrebbe essere l’osso più duro di tutti, specialmente se dovesse rivolgersi ai tribunali.

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Di certo Di Maio deve essersi finalmente accorto che passare dagli slogan della campagna elettorale alla gestione reale dei problemi è tutta un’altra cosa. Chiudere gli impianti avrebbe un impatto devastante sul fronte occupazionale. Provare a decarbonizzare l’intera produzione è impossibile oggi. Accettare lo stesso accordo proposto a Calenda costituirebbe uno smacco politico di livello elevato e Di Maio farà di tutto per non finire nelle polemiche per questo.

La strada stretta di Giggetto

Ma una decisione va presa il prima possibile anche perché non c’è più tempo.  Più giorni trascorrono, più la crisi dell’Ilva si accentua, tenuto conto che l’azienda ha cassa per pochissimo altro tempo ancora, dopodiché anche gli stipendi del personale potrebbero essere a rischio. Però gli ambientalisti hanno ricordato come i 5 Stelle abbiano fatto il pieno di voti a Taranto, alle elezioni dello scorso marzo, eleggendo cinque parlamentari grazie all’impegno di chiudere l’ILVA per fermare l’inquinamento. E questa è una promessa che ora va onorata.

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I lavoratori di ILVA (Corriere della Sera, 3 dicembre 2017)

Per questo, scrive oggi l’AGI, il ministro potrebbe trovare la giusta (per lui) soluzione in un mix che accontenti tutti o quasi: porre qualche ulteriore limite produttivo, quantomeno nelle modalità di produzione dell’acciaio, chiedere l’accelerazione degli investimenti soprattutto ambientali, innalzare il numero degli occupati (tema su cui Mittal e sindacati non hanno raggiunto l’accordo), spingere l’azienda ad aprire di più sulla decarbonizzazione, per ora posta solo come sperimentazione, infine lavorare, su un piano di lungo termine, a delle alternative economiche. In modo che in prospettiva il peso di ILVA nell’economia di Taranto sia meno dominante. Il problema sarà poi di chi dovrà far quadrare i conti della soluzione di compromesso. Con buona pace delle associazioni ambientaliste.

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